Gente d'Italia

I parlamentari sono “troppi”?

Nella storia repubblicana è la quarta volta che gli italiani sono chiamati a un referendum confermativo di una modifica costituzionale, privo di quorum per la sua validità. Le prime tre volte, negli anni 2001, 2006 e 2016 il quesito cui si interrogava il Paese costituiva la risultante di un’idea di riforma dello Stato, presupponeva cioè un assetto nuovo nelle competenze regionali e nei rapporti con lo Stato centrale o addirittura una complessiva modifica dell’architettura dei poteri. È la prima volta invece che i cittadini si trovano di fronte a un taglio lineare da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori senza che vi sia un benché minimo cambiamento nelle funzioni dell’istituto assembleare, senza cioè che vi sia alcun disegno generale, bensì accompagnato da due unici argomenti considerati decisivi: i parlamentari sono ‘troppi’ e il loro taglio costituirà un motivo di ‘maggiore efficienza’ dell’organismo parlamentare e di ‘risparmio di costi’ per gli italiani.

È utile pertanto, prima di ogni ragionamento di merito, smentire queste balle grossolane, figlie di una stagione di demagogia antipolitica e violenta destrutturazione dell’impalcatura democratica del nostro Paese. I parlamentari sono troppi? Non se lo domandano in Francia dove sono 923, tra Senato e Assemblea Nazionale, pressappoco lo stesso numero dei nostri. Non se lo domandano in Inghilterra dove sono 1426 tra Camera dei Comuni e House of Lords, 471 più che in Italia. Con la nuova legge, l’Italia avrebbe un parlamentare ogni 101mila persone (ora è 1/64mila), un rapporto più alto di Germania (1/117mila), Francia (1/116mila) e Olanda (1/115mila), scendendo di fatto all’ultimo posto tra i 27 stati dell’Unione nel rapporto tra deputati e abitanti. Questa distorsione nel caso delle regioni più piccole e degli eletti all’estero è ancora più marchiana e con effetti drammatici sulla rappresentanza. Gli eletti all’estero scendono nel caso dei deputati da 12 a 8 mentre i senatori da 6 a 4. In questo modo, cambierà il rapporto di rappresentanza, pari a un deputato per 151.210 abitanti (ora è 96.006 abitanti) e un senatore per 302.420 abitanti (ora è 188.424 abitanti).

Un rapporto che già oggi consegna collegi troppo ampi e un numero di cittadini troppo elevato alla rappresentanza dell’eletto all’estero. Gli eletti delle regioni piccole, come la mia Basilicata, diminuiscono sensibilmente e, nel caso del Senato, scendono tra 3 e 5, un numero incapace di rappresentare la complessità del territorio e soprattutto le ragioni del territorio in Parlamento. L’argomento per cui i parlamentari sono ‘troppi’ è dunque smentito clamorosamente appena si esce dalla propaganda. L’Italia avrà un Parlamento tra i meno rappresentativi del mondo e, nel caso degli eletti all’estero e nelle regioni medio piccole, questo carattere si farà anche più insopportabile. La ‘maggiore efficienza’ dell’organismo parlamentare è un’altra tesi del tutto infondata e che appartiene al vecchio drammatico motto del più la bugia è grande e più la gente ci crederà. È falso immaginare che con tale legge aumenterà l’efficienza dei lavori delle Camere, perché si renderà invece precario e macchinoso il funzionamento delle commissioni e degli altri organi del Parlamento ma soprattutto nulla cambierà dell’unica cosa che dovrebbe cambiare senz’altro, il bicameralismo perfetto o eguale immaginato, all’epoca saggiamente, dai Costituenti per diluire in un lungo processo democratico la funzione legislativa di un Paese che usciva dalla dittatura fascista.

Con la riduzione dei parlamentari infatti non si tocca il nostro peculiare sistema bicamerale per il quale abbiamo due assemblee, Camera e Senato, che fanno esattamente la stessa cosa in un estenuante ping pong. Il tentativo di riforma del 2016 che avrebbe distinto le funzioni, costituendo un Senato delle regioni, ridotto di numero, e con eletti su scala regionale, sappiamo come è finito. Anche per le resistenze di coloro che oggi si gloriano di un taglio lineare assolutamente inutile e dannoso. Sarà anzi necessaria un’ulteriore legge che ridisegni i collegi elettorali, oltre alla modifica dei Regolamenti dei due rami del Parlamento per cambiare alcuni quorum ed evitare che la riduzione dei parlamentari paralizzi i lavori.

E infine l’ultimo argomento. I costi, la tanto sbandierata riduzione dei costi. È l’unico argomento vero se non fosse risibile nel contenuto economico e pericoloso nel pensiero che sottende. Irrilevante dal punto di vista economico: 52,9 milioni di euro all’anno per i deputati (230 eletti in meno per un costo annuo di 230mila euro ciascuno) e 28,7 milioni per i senatori (115 eletti in meno per un costo di 249mila euro ciascuno). In totale, 81,6 milioni in meno. Togliendo le imposte, il risparmio netto ammonterebbe a 57 milioni, 0,007% della spesa pubblica totale annuale, ben meno della singola partita di F35 acquistati in un lotto dalla Difesa. Ma ancora più grave è il pensiero che sottende, l’idea che la democrazia sia un costo da tagliare mentre invece l’unica cosa a ridursi con questa legge scellerata è una riduzione della rappresentatività del Parlamento rispetto alla complessità sociale e politica del Paese.

Per questa ragione, spenderò questo mese e poco più per condurre una nobile quanto difficile battaglia in difesa della politica e delle istituzioni repubblicane. L’abolizione del finanziamento pubblico, di ogni immunità parlamentare, l’attacco quotidiano allo status degli eletti, il tentativo di spegnere radio radicale che trasmette tutta l’attività di Camera e Senato, oggi trova un altro tassello del mosaico di svuotamento dell’istituto parlamentare. Mi aspetto dalla opinione pubblica una sorprendente prova di maturità che vada oltre gli slogan anticasta, oltre la logica populista e antiparlamentarista e io farò tutto quello che potrò per evitare un discredito verso il parlamento e la democrazia italiana.

GIANNI PITTELLA

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