Il coronavirus stermina il chiacchiericcio. Non è più il tempo delle tattiche, delle manovre di palazzo, degli incontri che avrebbero come scopo quello di ridurre le distanze fra il premier Giuseppe Conte e Matteo Renzi. Al mattino di sabato in cui il Paese è nel panico basta varcare l’ingresso dell’Auditorium della Conciliazione, location famosa per "il che fai, mi cacci?" di finiana memoria, e accorgersi che la politica è andata in quarantena. A due passi dal Vaticano entrano alla spicciolata i dirigenti del Pd per l’Assemblea nazionale. La gente fuori chiede rassicurazioni sull’epidemia. "Ministro, cosa succederà?", è la domanda che i passanti rivolgono ai membri del governo.
Beatrice Lorenzin, già ministro della Salute, non fa in tempo a entrare in sala che viene rincorsa da una serie di dirigenti che le chiedono informazioni. Ecco, all’ordine del giorno c’è l’elezione della presidente del Pd, Valentina Cuppi, sindaco di Marzabotto, comune medaglia d’oro della Resistenza, più la relazione del segretario che detterà i tempi all’esecutivo e al partito. Ma la testa è al virus cinese. Sulle note di "mi fido di te", canzone must negli anni del veltronismo, inizia l’assise del partito guidato da Zingaretti. Le prime file sono occupate dal gotha di via Sant’Andrea delle Fratte.
Defilato si scorge Vincenzo De Luca, ’O sceriffo", governatore della Campania, che immobile aspetta l’intervento del numero uno del Nazareno. Ed è un segretario che non alimenta la polemica, che abbassa i toni, e che si rivolge in questi termini ai compagni di governo. "Smettiamo di litigare", si sgola dal palco. "Ora è tempo della scienza. Leggo stupide polemiche sulle agenzie. Serve serietà, collaborazione, non sottovalutare nulla, è tempo di unità del Paese". Non cita mai l’ex "compagno", Matteo Renzi. Ma è altresì evidente che Zingaretti si riferisca al leader di Italia Viva quando scolpisce che "è un errore picconare sempre, cercare sempre nuove avventure che soddisfano qualcuno ma che non fanno bene al Paese".
Cita invece Carlo Azeglio Ciampi e il famoso monito del presidente emerito della Repubblica: "L’Italia ce la farà". E il Paese ce la farà anche perché nel mese di agosto il Partito democratico fece "un atto coraggioso" che ha salvato il Paese dal default. Ora però occorre cambiare passo. E allora Zingaretti non pone diktat al governo, ma rilancia un patto per lo sviluppo stimolando l’azione del presidente del Consiglio: "Abbiamo presentato il Piano per l’Italia, ora io dico che bisogna coinvolgere tutte le forze produttive, l’associazionismo, i presidenti di regione, i sindaci". Detto questo, i democratici sono e resteranno una forza leale per il governo e per la maggioranza. Il tutto senza dimenticare l’iter della nuova legge elettorale, proporzionale puro con il 5 per cento di sbarramento ("no a mediazioni a ribasso") - una frecciata indirizzata a Italia Viva e al suo leader che gradirebbero un abbassamento della soglia al 4 per cento - e gli appuntamenti elettorali, in particolare, le regionali del maggio prossimo.
Ed è proprio quando ricorda la tornata elettorale che Zingaretti avvisa il M5S: "Non lasciateci soli contro Salvini e le destre, l’unità è un valore fondamentale. È inaccettabile che quando si vince è merito di qualcun altro, quando si perde è colpa del Pd". Già, il Pd. Il segretario allunga i tempi del congresso che con molta probabilità si svolgerà dopo l’estate. Nell’attesa lancia una costituente delle persone e delle idee, "con un manifesto da discutere nei circoli e in 10mila assemblee" che "potrebbe partire con una grande manifestazione popolare a Firenze. Costituiremo un comitato nazionale, ho chiesto a Nardella, un altro sindaco, di coordinarlo". Apre e chiude i lavori il segretario del Pd. Con un messaggio chiaro: "Non abbiamo avversari dentro questo governo e dentro questa maggioranza".
I toni insomma non mutano. E lo stesso si nota quando ci spostiamo nel pieno centro della Capitale. Destino vuole che nel medesimo giorno dell’Assemblea nazionale del Pd si riunisca anche Italia Viva. Allo spazio Alibert, che è stata luogo di convention dell’Ncd di Angelino Alfano o della famosa Ala di Denis Verdini, ecco Matteo Renzi. In abito scuro e camicia bianca, ma senza cravatta, solito passo, solita sicumera, l’ex rottamatore si materializza nel primo pomeriggio. Alle 15 e 06 prende la parola. Ma fin dalle prime battute l’ex premier si mostra cauto. Non lancia ultimatum, come nei giorni scorsi. Anzi, in virtù del contesto da coronavirus, sembra deporre le armi: "Mettiamo in quarantena le polemiche interne alla vita politica del Paese. In queste ore non siamo chiamati a prove di forza ma a stringerci con medici e persone contagiate".
Certo poi ritorna sulla giustizia, sulla famigerata prescrizione, sull’elezione del Sindaco d’Italia, sul famoso piano shock, e via discorrendo. Fa un attacco ai sovranisti immorali, prendendo di mira Giorgia Meloni, ma non Matteo Salvini. Non cita mai il leader della Lega, e non sarà forse un caso. Cita invece Enzo Tortora, ormai immancabile nel pantheon dell’ex sindaco di Firenze. Infine, per non alimentare le polemiche, boccia sonoramente il reddito di cittadinanza, simbolo della narrazione a cinquestelle. "Lo vogliamo dire che non funziona?",si chiede davanti alla claque che lo sostiene. Poi nulla di più, il solito Renzi che elogia il suo governo, che rivendica il riformismo e e che assicura che "noi non vogliamo far cadere il governo, ma farlo alzare". Peccato fino all’altro ieri non sembrava così.
GIUSEPPE ALBERTO FALCI