Basta con quel nomignolo che l'avrà pure immaginato per primo il Manzoni, ma ora dà solo fastidio. Le perpetue d'Italia - ce ne sono tante - ora rivendicano un altro nome, un altro ruolo, un'altra immagine. "Noi di perpetue non ne vogliamo sentir parlare", ha dichiarato la loro leader, Brunella Campedelli, che è presidente nazionale dell'Associazione collaboratori familiari del clero. A indisporre, al di là del nome, l'aggettivazione che di solito ne consegue: serve, innanzitutto, magari sagge e concrete ma in fondo gregarie, infinitamente pettegole, donne non sposate, dai quarant'anni in su, che favoleggiano di matrimoni rifiutati. Bruttine stagionate che non hanno trovato di meglio nella vita, secondo una vulgata molto volgare.
Uno degli scopi dell'Associazione è venir fuori dalla commedia, restituire a coloro che vivono con i sacerdoti o che li aiutano a svolgere il proprio ruolo, tutta la loro complessità. "L'associazione - racconta Brunella Campedelli al mensile al femminile vaticano, "Donna Chiesa Mondo" - è nata negli anni '80 dall'intuizione di un sacerdote. Pensava alla formazione delle persone che assistono il clero, che vivono con i sacerdoti. A quei tempi molti sacerdoti avevano accanto soprattutto i familiari, i genitori".
Oggi "ci sono molti sacerdoti giovani che non amano che la famiglia viva con loro, così l'associazione raggruppa consanguinei, genitori, ma anche familiari di spirito. I corsi di formazione che promuoviamo hanno come tema il cambiamento da portare ai sacerdoti, il nostro ruolo di persone che permettono ai sacerdoti di creare un senso di familiarità. Lo sforzo di creare più visibilità per questo ruolo presso la comunità. La necessità di prendersi del tempo per capire che chi deve vivere in intimità con il sacerdote deve avere qualcosa in più, una dimensione spirituale. I corsi sono frequentati soprattutto da donne, ragazze, qualche papà, ma anche alcuni collaboratori uomini". E chiamarli, questi ultimi, perpetui è veramente pretendere troppo.
La verità è che i tempi sono cambiati, le funzioni pure. Non si tratta di far trovare una cena calda e un letto rifatto, ma di permettere al sacerdote "di sperimentare un clima di famiglia nella quotidianità della sua vita e del suo ministero; quel clima di famiglia che lo dispone a essere strumento di comunione dentro la comunità". Ma anche di dare una nuova importanza al mondo dei laici che attorno alle parrocchie vivono e operano: "preparare collaboratori e collaboratrici, segretari e segretarie parrocchiali, collaboratori nelle funzioni amministrative".
"Io non sono una collaboratrice domestica o una governante, aiuto il sacerdote in ufficio, e per prima cosa, ogni mattina, seguo la gestione della scuola dell'infanzia", spiega Campedelli. "Il sacerdote che mi ha indirizzato su questo cammino ha avuto un tumore ed è morto in nove mesi. Lui in ospedale e io "in ufficio", con l'aiuto di altri sacerdoti non l'ho mai abbandonato". Insomma, una vera e propria "seconda vocazione, la prima resta quella di moglie e madre e la mia famiglia l'ho sempre sentita accanto". Altro che zitella bruttina e invecchiata, che favoleggia di pretendenti respinti. Chissà che direbbe Manzoni.