Rastrellamenti, processi sommari, stupri e violenze di ogni tipo, bambini strappati alle madri. Ottantamila oppositori politici inghiottiti nei lager. Almeno 30mila scomparsi dopo torture e sevizie nei Centri clandestini di detenzione. Dal 1964, la data del golpe della giunta militare in Brasile, al 1990, la fine del regime di Augusto Pinochet in Cile, le dittature latinoamericane hanno scritto le pagine più nere della loro storia. Argentina in testa, ma anche Ecuador, Messico, Uruguay: mezza America Latina nella quale chi non si piegava al regime veniva sterminato. E molto spesso alle famiglie non rimaneva nemmeno un corpo da seppellire. Molte di queste sono famiglie italiane, magari tornate a casa dopo decenni di emigrazione: ma nessuna di loro si è arresa nella ricerca della verità, anche se ormai sono passati più di cinquant’anni.
Il fenomeno dei desaparecidos in America Latina è stato riconosciuto come crimine contro l’umanità dalle Nazioni Unite soltanto negli anni ’90. Fra questi quanti sono i gli italiani, che fine hanno fatto, quali solo le loro storie? Se ne sta occupando da un anno un progetto del Centro di giornalismo permanente, un collettivo di giornalisti indipendente attivo su Roma, che dopo aver presentato il progetto durante un evento al Nuovo Cinema Palazzo, in queste ore ha deciso di promuovere una raccolta fondi sul sito Produzionidalbasso.it per iniziare a diffondere le storie che ha raccolto finora e proseguire con le altre. Il progetto si chiama Archivio desaparecido ed è condotto da Alfredo Sprovieri, Elena Basso e Marco Mastrandrea. Punta, attraverso un lavoro d’inchiesta giornalistica, a creare un archivio digitale e multimediale fatto di documenti e testimonianze, per mantenere la memoria su una delle pagine più drammatiche della storia del secolo scorso.
"Una campagna che passi anche dai social media, che sia capace di ricostruire, e tramandare alle nuove generazioni la dura e decennale lotta di queste famiglie per ottenere dignità, memoria e giustizia", raccontano gli autori. Punto focale della vicenda è il Processo Condor di Roma che in secondo grado ha visto comminare 24 ergastoli per il sequestro e l’omicidio di 23 cittadini italiani e di origine italiana residenti in Bolivia, Cile, Uruguay e Perù all’epoca delle dittature militari. Ma le storie che l’archivio vuole ricostruire e raccontare sono molte di più. Sono quelle di immigrati italiani che nel dopoguerra sono partite per la ricerca di una vita migliore e che dopo aver dovuto lottare per l’integrazione, sono stati chiamati a fare i conti con regimi sanguinari che hanno ordinato la scomparsa le tracce di chi ha tentato di opporsi. Militanti dei partiti e delle organizzazioni che si erano opposte ai tiranni, ma anche sindacalisti, sacerdoti, studenti e semplici cittadini.
Quello degli italiani è stato un contributo numeroso e qualitativamente importante, visto che nelle storie ricostruite dall’Archivio desaparecido si trovano anche quelle di uomini e donne che hanno avuto anche ruoli apicali prima accanto a protagonisti come Guevara e Allende e poi fra i movimenti storici che hanno lottato per il "Nunca mas", come le Madres de Plaza de Mayo. Insomma, "non sono solo un catalogo di orrori perpetrati e di eroismi dimenticati, ma una vera e propria finestra aperta sul presente", per usare le parole del compianto Alessandro Leogrande, al cui impegno il progetto dell’Archivio desaparecido è ispirato.
Lucio Luca