"Facciamo attenzione, opponiamoci, questo è un bluff", gridano i sindacati, che contestano il trattato di pace tra Governo e Ilva. Silente ma significativo l’atteggiamento del sindaco di Taranto, il primo cittadino della città bimare si è rifiutato di andare a Roma per la riunione che sancisce la volontà della multinazionale siderurgica Arcelor-Mittal e dello Stato italiano di condividere il rilancio dell’acciaieria più grande d’Europa. Dunque, nessun vincitore e nessuno sconfitto, un pareggio al termine dei tempi regolamentari della partita Ilva. Adesso spazio ai tempi supplementari dall’esito imprevedibile. La firma dell’accordo è maturata a Milano, nella città in quarantena, chiusa per virus. Siglato il documento che azzera lo scontro legale tra le parti, esploso dopo la minaccia di disimpegno della multinazionale indo-francese. Al trattato di pace, così definito dalle parti in causa che si impegnano a ritirare le vertenze legali, hanno lavorato quattro avvocati per Arcelor-Mittal e per i commissari Ilva.
Punti e via d’uscita. La piena capacità produttiva è di otto milioni di tonnellate di acciaio rispetto alle quattro attuali. Arcelor-Mittal può recedere pagando 500 milioni. Il nuovo piano industriale dovrebbe prevedere un taglio del 30% dell’uso del carbone. L’intesa sulla forza lavoro verrebbe tarata su 10.700 unità. Permane comunque l’incognita sulle risorse finanziarie. La ripartenza non sarà in discesa. La certezza è reperibile nel testo dell’accordo che fissa il 31 maggio prossimo come termine per trovare l’intesa anche con i sindacati. Intesa piuttosto difficile, complicata, alla luce dell’atteggiamento e dalle parole usate dalle rappresentanze dei lavoratori nel momento in cui è stata annunciata la definizione dell’accordo. Tre mesi di tempo per una trattativa con i sindacati, che nel 2018, questo va ricordato, era durata quasi un anno. Dopo essere cominciata dal momento dell’aggiudicazione al Mittal della gara per l’Ilva. In quel caso, tutto si basava sul mantenimento della piena occupazione. Laddove il testo firmato a Milano recita, sì, "che Arcelor-Mittal si impegna a impiegare alla fine del nuovo piano industriale 2020-2015 il numero complessivo di 10.700 dipendenti", ma nel contempo indica la scadenza del 31 maggio per "un accordo con i sindacati sull’utilizzo della cassa integrazione straordinaria fino al raggiungimento della piena capacità produttiva".
In parole povere, il raggiungimento dell’obiettivo degli otto milioni di tonnellate annue di acciaio rispetto alle quattro attuali. I sindacati, intanto, continuano ad alzare barricate. Sotto forma di una totale opposizione agli esuberi e del fermo no "all’incognita sulla volontà dei soggetti investitori riguardo al loro impegno finanziario nella nuova compagnia societaria". Siamo quindi in presenza di un autentico puzzle. Anzi di più: a un qualcosa che si presenta come una soluzione problematica. Tra i contestatori dell’accordo, c’è anche il sindaco dem di Taranto, Rinaldo Melucci. Secondo il primo cittadino l’intesa "non garantisce la tutela della salute di lavoratori e cittadini". Mentre, sullo sfondo, aleggia la minaccia di Arcelor-Mittal di un addio, consentito appunto dalla clausola rescissoria, inserita nell’accordo. La multinazionale indo-francese dice comunque che, per ora, intende andare avanti. "L’investimento del Governo italiano è pari quanto almeno ancora a quanto dovuto da Am InvestCo rispetto al prezzo originario di acquisto".
Ma il Governo parla, risponde, commenta? Il ministro Gualtieri giudica l’accordo "un’intesa che coniuga salute, ambiente, lavoro". Nel documento sono tracciate le coordinate che dovranno portare entro novembre al nuovo piano industriale: taglio del 30% dell’uso di carbone nell’ambito del Green New Deal, l’impiego di altiforni, compreso l’Afo5, ristrutturato, e di un forno elettrico alimentato da minerale pre-ridotto, con spesa condivisa da Arcelor-Mittal e commissari, e delle prescrizioni legali per la messa in sicurezza degli altiforni 1, 2 e 4. In prospettiva è previsto l’uso dell’idrogeno. Il completamento delle attività legate alla realizzazione dell’Aia avverrebbe entro il 2015. E poi? Lo Stato diventerà azionista di Ilva attraverso Invitalia. E una newco partecipata di imprese terze realizzerà e gestirà l’impianto pre-ridotto. Ma i sindacati e sindaco di Taranto non basta. Due i motivi, di esuberi non si deve parlare e l’accordo non garantisce la tutela della salute dei lavoratori e dei cittadini di Taranto. Alla prossima puntata.
Franco Esposito