Sarà interessante capire cosa resterà del nostro sfortunato Paese dopo la cura draconiana del "Metodo Cina" decisa dal Governo per fronteggiare l’epidemia del coronavirus. La questione va posta alla luce dell’intenzione di Giuseppe Conte di procedere a misure ancora più dure e incisive e alla richieste di alcuni Governatori delle Regioni settentrionali di chiudere gli esercizi commerciali e fermare i trasporti pubblici per evitare assembramenti e bloccare i contagi.
È probabile che attraverso il "tutti chiusi a casa" sia possibile frenare l’espansione esponenziale del virus. Ma è assolutamente certo che se si bloccheranno commerci e trasporti l’economia e la produttività del Paese subiranno un tale tracollo che la ripresa dopo le devastazioni sarà più lunga e difficile della ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale.
Tenere conto di cosa potrà e dovrà restare dopo la bufera dell’epidemia è il problema principale del Governo e delle forze d’opposizione. Nessuno s’illuda che possa bastare lo sforamento di dieci miliardi sul limite del debito pubblico per poter far ripartire il Paese. Tanto più che l’aumento del debito comporta automaticamente che il debito debba essere una volta o l’altra pagato.
Da chi se non dai cittadini che potrebbero essere sottoposti a una qualche forma di patrimoniale se non addirittura, al ricorso a quel prelievo forzoso sui conti correnti che già venne usato nei primi anni Novanta dal Governo di Giuliano Amato? Fare del catastrofismo in un momento di così grande difficoltà generale è sicuramente sbagliato. Ma guardare oltre e mettere in guardia dagli errori più gravi è fin troppo giusto. Aspettiamo gli eventi. Con speranza ma anche con la convinzione che ce la faremo. Come sempre!
ARTURO DIACONALE