Coronavirus, tutti intenti a bloccarci in casa. Ma agli animali, possibili portatori di germi, virus e pulci perniciose, nessuno ci pensa. Guardate questa foto: un gabbiano ha ucciso un topo, sul ponte che porta all’Isola Tiberina, in centro a Roma, a 300 metri da un ospedale, il Fatebenefratelli.
Poche ore prima, avevano messo in rete un video. Vi si vedeva un altro gabbiano all’attacco di un topo nella zona della Fontana di Trevi. Pensate quanti germi sono rimasti sul marciapiede, in quella chiazza di sangue. E da quella chiazza di sangue si sono diffusi nell’aria. È ben vero che c’è poca gente in giro e quei pochi camminano nascosti da mascherine bianche. Ma non dimenticate che nella storia le epidemie sono tutte nate dai topi e dalle pulci che risiedono nel loro pelo.
Per carità, amici dei topi, non è un morso di topo che ci fa ammalare di peste. I topi sono il veicolo attraverso cui le pulci arrivano a noi. Spesso coincide con periodi di carestia. Le pulci, spiega Kyle Harper nel suo "Il destino di Roma, clima epidemie e la fine di un impero" (Einaudi) , un prezioso libro che tutti dovremmo tenere a portata di mano, non trovando più di che nutrirsi nei campi e nei granai, si buttano sui topi. Da lì il passo all’uomo è breve. Così ebbe inizio la peste del ‘300. Anche allora il primo focolaio fu in Cina. Lungo la Via della Seta le pulci impestate arrivarono in Crimea. La peste cominciò a falcidiare le schiere di una tribù di turchi impegnate nell’assedio di Caffa (oggi Feodosia), oggi Russia, allora proprietà del Banco di San Giorgio di Genova.
I turchi usarono come arma non convenzionale ma molto persuasiva i cadaveri dei morti di peste, gettandoli oltre le mura. I genovesi capirono l’antifona e fuggirono. Ma non fecero abbastanza in fretta per evitare che le pulci, trovato comodo mezzo di trasporto nei topi, si imbarcassero anche loro per Genova. Anche i genovesi fecero come il ministro italiano della Salute, Roberto Speranza. Lui ha chiuso gli aeroporti italiani ai voli dalla Cina. I genovesi del ‘300 impedirono l’ormeggio alle navi provenienti dal Mar Nero, dirottandole su Marsiglia. Col risultato che i topi sbarcarono sia a Genova, sia a Marsiglia sia in Sicilia dove alcune trovarono approdo. Un terzo della popolazione europea fu eliminato.
A differenza della peste che travolse l’Impero romano e fece morire anche Marco Aurelio e fece scivolare l’Occidente sul piano inclinato di una recessione pluri-secolare, la peste del ‘300 rallentò per un po’ la crescita, spostò pesi e rapporti di forza, ma nulla poté contro il trend positivo preludio dell’era moderna. Nessuno scienziato, nessun economista, nessun profeta può dirci cosa sarà dopo il coronavirus. Ma forse qualche riflessione andrebbe fatta e qualche iniziativa presa. Chiedere il mondo rischia di riportarci al Medio Evo pre anno Mille. Senza estinguere la forza del virus in continua mutazione. Teniamo prigionieri gli esseri umani.
Lasciamo liberi e indisturbati gli animali. Siete sicuri che sia la scelta giusta? Il dogma animalista ci sovrasta, il fatto che tutto sia partito da un pipistrello, o così pare, cioè un bel mammifero con le ali, non ci fa sentire nemmeno un minimo bisogno di riflessione. Qui da noi i pipistrelli sono meno invisibili e invadenti che in Oriente, fino all’Australia. Ma i topi sono in mezzo a noi, sotto i nostri piedi e non solo. Le nostre grandi città ospitano colonie di migliaia di esemplari. Una mutazione li ha resi resistenti ai veleni. I gatti, viziati e ciccioni, scappano, al massimo attaccano i passerotti. I tagli ai bilanci comunali (in fondo la colpa è sempre dei tedeschi e dei loro sicofanti italiani) hanno ridotto o eliminato i fondi per la derattizzazione. Non c’è da stare molto tranquilli.
Topi e gabbiani come reagiranno al crollo nella quantità di rifiuti disponibili a seguito della chiusura di bar e ristoranti? Sono già abbastanza aggressivi. Nelle notti romane si svolgono scene da Libro della Giungla. Abbiamo appena documentato due episodi. Cosa accadrà ora? Non sarà il caso che i magnifici sindaci e presidenti di province e regioni mettano i loro brain-trust a elaborare piani di limitazione della proliferazione di queste specie. Nessuno osa avvicinarglisi. Ma c’è da scommettere sulla quantità di pulci infette e di germi e virus che prosperano fra i loro peli e le loro penne.
di SERGIO CARLI