Alla faccia del Coronavirus, che sembra avere miracolosamente evitato la Russia, la nazione andrà alle urne il 22 aprile, per votare una riforma costituzionale di poco conto. Quella che, nel cancellare il divieto di ricoprire più di due mandati presidenziali, permetterebbe a Vladimir Vladimirovič Putin, di ricandidarsi nel 2024. Se fosse rieletto, rimarrebbe in carica fino al 2036, fino alla tenera età di 84 anni! Tutto questo sarà possibile perché con la riforma, se approvata, verranno azzerati i mandati di un presidente in carica o di un ex presidente per consentirgli di prendere parte a elezioni future. Il 31 dicembre 1999 il presidente Boris Eltsin rassegnava all’improvviso le dimissioni, in un messaggio di Capodanno a reti unificate. Ad assumere la carica ad interim, per poi non andarsene più, fu un semisconosciuto apparatchik di Leningrado, il nostro Putin, già ufficiale del KGB distaccato a Dresda, quindi braccio destro del sindaco della ribattezzata San Pietroburgo, Anatolij Sobcak, fino all’approdo a Mosca, e l’ascesa subitanea, folgorante nell’empireo del potere.
Dalle elezioni del marzo del 2000, quando inizia il suo primo mandato da Presidente, al 2036, se riuscirà ad essere rieletto, saranno 36 anni tondi tondi. Nemmeno Stalin riuscì in questa impresa, si fermò a 30. Bisogna dare atto che, nel confermare la data del voto, Putin abbia messo in conto la possibilità che possa essere spostato nel caso in cui ‘questa situazione non lo permettesse’. Secondo un sondaggio svolto dall’Istituto del marketing commerciale (Insomar), il 57% dei russi sarebbe pronto a rieleggere Putin, il 33% ha dichiarato che non lo voterebbe, mentre il 10% non ha fornito una risposta. Varie sigle dell’opposizione avevano indetto manifestazioni contro questa riforma, ma a causa della possibile diffusione del Covid-19, stavolta utile agli scopi politici del Presidente, il sindaco di Mosca Serghej Sobjanin ha vietato tutti gli assembramenti fino al 10 aprile. Stiamo quindi assistendo alla nascita di un nuovo modello di governo? Quella che viene definita una democratura?
La definizione che troviamo nella Treccani è: "Regime politico improntato alle regole formali della democrazia, ma ispirato nei comportamenti a un autoritarismo sostanziale". L’etimo è semplicissimo da ricostruire: si tratta della crasi di democrazia e dittatura. Invero catalogabile sotto la figura retorica dell’ossimoro, in una sola parola! Il termine ha due padri, lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano che lo battezza nel suo ‘Le vene aperte dell’America Latina’ del 1971, e il saggista croato Predrag Matvejevic. Il modello che entrambi descrivono è quello di una ‘democrazia ristretta’ o in altri termini una ‘dittatura costituzionale’, ovvero un regime concretamente oligarchico. La distanza geografica e culturale dei due intellettuali che hanno coniato il neologismo è impressionante, e il fatto che entrambi abbiano rilevato questo fenomeno, ci fa comprendere quanto possa essere immanente nella nostra era. Galeano utilizza il termine democratura come ‘il riciclarsi delle dittature sotto forma di finte democrazie’ e gli fanno eco le parole di Mario Vargas Llosa, che nel 1990 dichiara, nel corso di un suo viaggio in Messico: ’La dictadura perfecta no es el comunismo, no es la Urss, no es Fidel Castro. La dictadura perfecta es Mexico. Es la dictadura camuflada’. Ma non illudiamoci che questo termine si attagli solo a Putin, Orban, o al Sud America. Lo utilizza anche Giovanni Sartori nel suo libro ‘Il Sultanato’, del 2009, nel quale parla proprio dell’Italia.