Elezioni presidenziali Usa, un’idea per una vice presidente donna che affianchi Joe Biden: Michelle Obama. Nessuno ne parla, forse qualcuno lo pensa ma non lo dice per calcolo o cabala. Intanto, la sinistra americana impazzisce sul nome di chi sarà il candidato alla vice presidenza degli Stati Uniti. Le elezioni sono a novembre, la partita è tutta da giocare. L’idea vincente è quella di un candidato donna per rafforzare l’anziano, 77 anni, Biden. Ma chi? Nessuno parla di Hillary Clinton, già sconfitta proprio da Trump nella corsa alla presidenza quattro anni fa. Ricordiamo che la Clinton prese più voti di Trump, ma il sistema elettorale di secondo grado che determina la scelta del presidente Usa bilancia il proporzionale puro con un maggioritario a livello statale che indica i "grandi elettori" e attraverso loro condiziona la scelta del Presidente. Un sistema analogo a quello del Senato in Italia.
Oggi avviene tutto in diretta. Ai tempi in cui si andava a cavallo e a piedi (ecco perché passano quasi 3 mesi fra il giorno delle votazioni e la cerimonia inaugurale) ne potevano succedere di tutti i colori, nel tempo in cui i delegati attraversavano il continente americano. Anche che qualcuno dei grandi elettori pasticciasse il voto. È successo, anche se gli americani, maestri di moralità in casa d’altri, tendono a dimenticarlo. Il ruolo del vice presidente non è da sottovalutare. Vive in un dependence della Casa Bianca, normalmente conta come il due di picche, se si escludono i pochi incarichi che il presidente si degna di concedere. Ma diventa fondamentale in caso di morte o impedimento del presidente. Fu così, solo negli ultimi 70 anni, con Harry Truman dopo la morte di Roosevelt, con Lyndon Johnson dopo l’uccisione di John Kennedy, con Gerald Ford dopo l’impeachment di Nixon.
L’idea che, in caso di morte del 72 e malaticcio John McCain, se eletto presidente, gli sarebbe subentrata Sarah Palin, costò cara al candidato repubblicano e spostò voti in modo decisivo a favore di Barack Obama. Non solo e non tanto perché la Palin era donna, quanto per la scarsa fiducia che ispirava, innanzi tutto proprio nelle donne americane. Come poi i suoi comportamenti privati e pubblici confermarono. Vari nomi ora circolano sui giornali americani sulle possibili candidate alla vice presidenza. La più quotata sembra essere Elizabeth Warren. Sarebbe la certezza della sconfitta. Specie se Trump reagisse, come promette, alla crisi del coronavirus con misure che attenuino la inevitabile recessione. In America non hanno il fiato sul collo della Germania. Così sono usciti alla grande dalla crisi del 2008. Sono vecchi entrambi, Biden e Trump, ma in questo caso Trump sarebbe l’usato sicuro, anzi a quel punto una specie di eroe. A maggior ragione se, morendo Biden (fra i 78 e gli 82 anni il percorso per tutti noi è assai accidentato) a subentrargli dovesse essere la Warren: così dogmatica, così ideologica, così troppo di sinistra senza remissione. E in più con quella voce acuta che non piace alle donne prima che agli uomini.
Michelle Obama è nel pieno degli anni, essendo nata nel 1964; è nera, il che varrebbe una forte presa in un importante segmento di voti; ha vissuto 8 anni alla Casa Bianca, dimostrando di saperci fare anche con la regina d’Inghilterra. Vive in politica, accanto a Barack Obama, dai tempi dell’università, quindi conosce le regole, imparate giocando su una delle scacchiere più difficili del mondo, Chicago. Subentrasse lei a Biden, c’è da giurare che sarebbe un ottimo leader: ha presa, decisione, spesso seguendola sui giornali si aveva la sensazione che il ruolo di first lady le andasse stretto, che in molte circostanze sarebbe stata anche meglio del marito. Possibile che non ci abbia mai pensato nessuno?
Sergio Carli