Vicenda del momento o telenovela permanente? Il punto di domanda, peraltro doveroso, sopravviene spontaneo in piena crisi del trasporto aereo causa Covid 19. La pandemia che travolge le compagnie di tutto il mondo. Il virus tiene gli aerei fermi negli hangar, i decolli sono ridotti al minimo indispensabile. La domanda riguarda comunque soprattutto Alitalia, coinvolgendola in esclusiva. La vendita della compagnia di bandiera è stata rinviata otto volte per convenienze elettorali. Un balletto che è costato più di dieci miliardi ai contribuenti italiani. Cioè a noi. Dieci miliardi ora destinati a lievitare fino a venti, ma per cosa? Per una compagnia piccola piccola, nazionalizzata. Alitalia può tornare infatti allo Stato, l’ha fatto capire chiaramente, giorni fa, il ministro Patuanelli.
Ma quale sarà il prezzo di quello che il ministro e gli uomini di governo definiscono "il risanamento dell’azienda"? Una newco appunto piccola piccola, tagli del settanta per cento su flotta e personale. Una mini società nelle mani del Tesoro. E il resto? Scaricato in una bad company. Lo scandalo permanente intestato ad Alitalia, come se non bastassero, in questo terribile momento, i problemi portati dal coronavirus e le prospettive drammatiche che ne conseguiranno una volta terminata l’emergenza. Alla richiesta originaria di quattromila dipendenti in cassa integrazione da aprile a settembre, potrebbero aggiungersene altrettanti, vista l’operatività odierna di Alitalia, ridotta solamente a venticinque barra trenta aerei.
La cura dimagrante pensata dai ministri Patuanelli, Sviluppo, e De Micheli, Trasporti, parte da quella che è oggi l’Alitalia. Una newco snella, nelle mani del Tesoro, magari con la partecipazione dei dipendenti nel cda in un Comitato di sorveglianza, sul modello Lufhtansa. Una nuova, piccola Alitalia con nuovi contratti di lavoro, rotte limitate a corto-medio raggio che, in sinergia con una compagnia più solida, possa lavorare e crescere in un network nazionale e internazionale e di lungo raggio. Per ripartire alla svelta, anticipando la riorganizzazione di quelle compagnie che dettano legge nel campo del trasporto aereo. Il progetto, si dice, prevederebbe nuove regole relative agli accordi tra scali italiani e compagnie low cost. Un sistema di incentivi pagati dagli scali alle linee aeree con lo scopo di attrarre turisti e passeggeri nei propri territori. Il punto debole di questa ipotesi prende forza dal fatto che in Europa – i dati sono di Aci Europe, l’associazione degli scali – gli aeroporti europei ricorrono nel novantotto per cento dei casi a forme di incentivazione.
Senza contare, poi, la procedura della vendita di Alitalia. Sul tavolo del commissario Lagarde, la scorsa settimana, sono pervenute otto proposte di acquisto delle tre attività in vendita: volo, bagagli-terra, manutenzione. Immettere però nuovi soldi nella società, con le attuali priorità che assillano il Paese, appare come una scelta eticamente difficile. Ma il Governo sembra intenzionato ad andare avanti con fermezza. Ritiene che la nazionalizzazione sia l’unica strada per non lasciare in mezzo alla strada diecimila persone e per evitare che l’Italia finisca definitivamente fuori dal mondo. Il momento strategico è chiaro, in questi giorni. I maggiori concorrenti mondiali hanno sospeso i voli per l’Italia.
Quello per Addis Abeba della Ethiopian è l’unico collegamento intercontinentale Alitalia rimasto, oltre a quelli per New York, San Paolo del Brasile e Nuova Delhi. Inguaribile mai esausta divoratrice, Alitalia ha bruciato quasi tutti i 400 milioni di soldi pubblici incassati all’inizio di quest’anno. I voli operativi sono ottantacinque al giorno rispetto ai cinquecento di gennaio. Non più di trenta gli aerei sui cento della flotta, Alitalia è diventato con Neos una costola al servizio dell’Unità di Crisi della Protezione Civile. In questi giorni balordi dominati dal virus, fa la spola con Spagna, Grecia, Ucraina, Romania, Moldavia, Cina, per riportare in patria gli italiani bloccati all’estero. Voli tutti in forte perdita, con gli aerei vuoti all’andata e pieni al ritorno in Italia.
I dipendenti che finiranno nella bad company esclusi dalla nuova mini newco rimarranno ovviamente a carico dello Stato. Sarebbe questo il primo passo di quella ristrutturazione che tutti i potenziali acquirenti chiedevano per rilevare l’Alitalia, da Ferrovie dello Stato a Delta e Lufthansa. Ma è anche, per il momento, il prosieguo di una telenovela infinita dal titolo "Salvataggio Alitalia". Con la speranza di una visione nuova all’orizzonte che possa essere davvero l’ultimo salasso per noi contribuenti italiani. Già vessati e schiacciati da quello inevitabile chiamato Covid-19.
FR. ES.