Mettiamoci dalla parte di un cittadino che la mattina compra un giornale o vede il tg. Legge che in Lombardia è ancora tutto chiuso, che nel resto del Paese alcune attività riaprono lentamente, ad esempio le librerie. Ma nel caso del Lazio questo non avviene, è rimandato al 20 aprile. Andiamo avanti. Repubblica apre il giornale con un titolo a caratteri cubitali: "la scuola è finita", ma non tutti sono d’accordo. Sul calcio, le opinioni sono le più disparate: il professor Giovanni Rezza, direttore delle malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, è categorico: ""Fosse per me il campionato non dovrebbe assolutamente riprendere, è troppo pericoloso".
Succede il finimondo. Qualche presidente della serie A gli punta il dito contro, i giornali sportivi sono tutti per la riapertura del torneo, Lazio in testa. Tanto è vero che il capo delle relazioni esterne della società biancoceleste, Arturo Diaconale, gli risponde: "Invece di fare il tifoso (della Roma) trovi un vaccino". E i parrucchieri? Si prevede che riaprano il 18 maggio gettando nel panico le donne, ma anche gli uomini che forse, fra qualche giorno, usciranno tutti col codino. Ma non si sa, è troppo presto per parlare della fase due. Certo, è comprensibile che gli scienziati non si pronuncino. La prudenza non è mai troppa in situazioni così drammatiche. Però, chi legge o ascolta la radio e la tv rimane sconcertato e non sa più che cosa pensare.
Chi ha ragione e chi ha torto? La Lombardia o il Lazio? Si deve essere ottimisti e pensare che fra non molto si tornerà a vivere in modo quasi normale? O, al contrario, un po’ di pessimismo non guasta ed è bene seguire le direttive di chi è più rigido? Insomma, riteniamo che il caos che sta provocando il virus non aiuta né coloro che debbono fare informazione, né il lettore che si trova dinanzi a questa marea di ipotesi. È già tanta la sofferenza di chi vive questo momento che non bisogna creare altra confusione. Che fare? I giornalisti svolgono il loro lavoro, vanno alla ricerca delle notizie, intervistano chi è stato colpito dalla malattia e anche gli operatori sanitari che talvolta (ahimè) sono stati lasciati senza gli indispensabili strumenti per lavorare senza il pericolo di infettarsi o di essere portatori della malattia.
Troppo spesso fra le notizie ufficiali e quelle che invece riescono a scoprire i giornali c’è una enorme differenza. Si creano, insomma, due fazioni e questo non deve assolutamente accadere in un Paese devastato dal coronavirus. Perché la gente comune, il professionista come l’impiegato, l’operaio come l’artigiano deve avere notizie ben precise, numeri reali, informazioni che abbiano una certa univocità. Allora chi è alla guida del Paese deve far si che questo avvenga. Magari con maggiori dettagli, con comunicati più frequenti e senza nascondere qualche magagna buona fede che è sempre possibile quando si è in guerra con un virus che tre mesi fa nessuno conosceva.
BRUNO TUCCI