Riaprirà il commercio. Quando e come, non si sa ancora. Centrato in pieno dal virus, colpito praticamente a morte, come riaprirà? Inquietante il punto di domanda, razionale nella sua vasta drammaticità la risposta: un negozio su tre non potrà riaprire. Abbigliamento e scarpe ko. Federmoda ipotizza a maggio perdite del 70-80%. I magazzini sono pieni, l’online ha forniti esiti risibili, insignificanti. E molte aziende sono prive in assoluto di liquidità. Inascoltati finora gli appelli, le banche nella parte del miglior sordo, ovvero quello che non vuol sentire. "Ad oggi nessun segno concreto, ci offrono risorse per indebitarci, senza dirci quando le erogheranno", informa un imprenditore di Montecatini, Andrea Bonvicini, titolare di quattro boutique nella città termale. Tiene il fatturato dell’azienda grazie agli ordini che arrivano da vari Paesi del mondo. Cina, Stati Uniti, Hong Kong, Arabia Saudita, Qatar, Singapore. "Ma una cosa deve essere chiara: non è vero che le banche ci stanno aiutando con il credito".
Lo scenario italiano è questo, con effetti e conseguenze dell’epidemia al centro appunto della scena. Riflettori e luci puntate sulla Toscana valgono a mo’ di cartina di Tornasole per quella che sarà la ripresa del settore commercio dopo il 4 maggio. Abbigliamento, intimo e accessori, la fashion dà lavoro in regione a 95mila addetti. Il lockdown perdurante rischia di staccare letteralmente la spina ai rivenditori costretti a fare i conti con grandi carichi di merce invenduta. Gli scienziati, virologi e infettologi, e non solo, martellano le orecchie degli italiani in quarantena. "Rassegnatevi a cambiare stile di vita". Nel caso specifico, dovremo dimenticare il capospalla leggero per la mezza stagione, le giacche in denim, il jeans a vita alta. Saranno ricordi di copertina delle riviste fashion. La moda è come un reuma, va e viene. Quella della primavera 2020 se n’è andata, è sparita, azzerata anch’essa dall’epidemia. Il Coronavirus l’ha ingabbiata. Come detto, il trenta per cento di esercizi commerciali potrebbe non rialzare il bandone il 4 maggio. La previsione è firmata Confesercenti e Confcommercio. Sempre che, per quella data, il settore possa dedicarsi davvero alla "fase 2".
Parlare chiaro significa dire che la moda è merce deperibile, al pari del cibo. Riparte ogni sei mesi con nuove collezioni, prima le sfilate sulle passerelle poi l’esposizione nelle vetrine dei negozi. In questo modo, la moda gioca d’anticipo di almeno un anno. Ora si ritrova con la merce fuori stagione ammassata nei magazzini: è saltato tutto. Produttori e commercianti pensano a un patto tra gentiluomini. La strada giusta potrebbe diventare quella di diluire il pagamento della merce invenduta nell’arco di un anno. Oppure renderla in parte, restituirla. Confesercenti Toscana è in grado di comunicare che sono stati già raggiunti accordi di questo tipo. "È in gioco la sopravvivenza dell’intero settore". Un dramma, non un problemone. I fatturati erano già in picchiata alla fine di febbraio. I negozi avevano accusato una perdita del 60% già nei giorni antecedenti al blocco totale. Azzerate le vendite, uccise dal lockdown". Alla riapertura si prospettano perdite del 70-80% solo a maggio. Guardando oltre, il rischio assume proporzioni addirittura bibliche: fatturati dimezzati nel 2020.
In previsione dell’esplosione della tragedia nazionale nell’ambito del commercio, Confesercenti ha chiesto alla Regione "di congelare i saldi estivi". Lo sconto rappresenta infatti una formidabile tentazione per invogliare i clienti a comprare, con il rischio di innescare una guerra al ribasso. Una guerra tra poveri, a quel punto. È comunque una corsa contro il tempo. La burocrazia, oltretutto, ci mette del suo. Le imprese sono ancora in attesa di accedere ai finanziamenti bancari per la liquidità fino a 25mila euro. Mentre dagli annunci del Governo sono passati venti giorni pieni. Confcommercio e Confesercenti invocano interventi a fondo perduto, al solo scopo di evitare nuovi pesanti indebitamenti. Un flop, l’online. La pandemia ha chiuso i portafogli e raffreddato la voglia di comprare con un semplice click. "Nel nostro settore non ha funzionato, non sta funzionando. Serve la web tax, per una questione di equità fiscale. Altrimenti non potremo che aspettare la fine".
Al netto, magari, di puntare alle riconversioni aziendali. Difficile che possano farlo la moda e il commercio. L’hanno fatto alla svelta due brand di amari e grappe, Santoni di Chianciano Terme e Deta di Tavernelle Barberino, che si affiancano a marchi famosi come il liquore di Saronno. Storiche distillerie, per non affondare i pensieri nell’alcol, hanno riconvertito la produzione di amari e grappe in 100mila bottigliette mignon di igienizzante prodotto per l’occasione. Il Sanificante Mani Santoni distribuito gratuitamente alla popolazione di Chianciano. Il disinfettante della Distilleria Deta in dono a Comuni, scuole, uffici pubblici e popolazione. Il gel disinfettante là dove c’erano grappe e amari. Un’idea sostenuta dal bisogno e dalla solidarietà.
Franco Esposito