Il significato della Storia, non lo capisci finché ci sei dentro. Per quanto sia possibile studiarlo ed intuirne la portata, un evento storico richiede distacco temporale: e più è grandioso, nel bene e nel male, maggiore la distanza dalla quale osservarlo. Nemmeno là dove i fatti sono chiari svelano il vero.
Il significato della Storia odora di polvere, e si fa attendere, come se avesse da dire che solo la bilancia del tempo può pesarne il senso più profondo. Qualsiasi tentativo di liberarlo dalla coltre è destinato a fallire, e la migliore sorte che può toccare, consente di vedere solo ombre, appena oltre la cronaca, pochi incerti passi nel campo labile delle ipotesi. Tuttavia, esistono casi che non rispondono a questa regola. Sono eventi indomabili, il più delle volte virulenti, e talmente manifesti che non rischiano incomprensioni, eccezioni per le quali il criterio della distanza temporale è utile solo per definire i dettagli.
Qui, in siffatti momenti della Storia, la presenza è comprensione di senso e la testimonianza memoria che si tramanda. Il 25 Aprile 1945 è stato uno di questi passaggi, il significato della Storia che è per come appare, ineludibile e in parte definitivo. Già, me lo raccontava mia nonna della Liberazione: ascoltarla era come sfogliare un libro; eppure, sapeva a malapena leggere e scrivere. Ricordo le sue parole, storpiate e semplici, ma esatte come un pugno in piena faccia: poi gli occhi socchiusi, taceva un attimo, e riprendeva a raccontare, di quando da sfollata, nella campagna toscana, i bombardamenti, quanta paura, la notte ed il giorno.
La Liberazione fu un fatto popolare e del popolo, il volto senza maschera della Storia, la conquista per tutti delle libertà. Mi interrogo sul senso di questo 25 Aprile 2020 che abbiamo festeggiato, e su ciò che significherà celebrare la Festa dei Lavoratori del 1° Maggio, il vuoto di Piazza Venezia che abbraccerà quello di San Giovanni.
Certo, due solitudini obbligate, dettate dal virus ma che simbolicamente ci raccontano molto di più di quel che sembra; anche le piazze affollate, non avrebbero potuto indebolire nemmeno di un millimetro l’abbandono e l’isolamento di chi non ha libertà e lavoro. Fatichiamo a trovare le parole adatte, ma i luoghi della memoria, quegli spazi comuni, dentro ai quali riconoscersi e rivendicare i valori fondanti del nostro Paese, stanno progressivamente perdendo energia, risucchiati da una realtà che Murales di Antonio Gramsci con la mascherina supera l’immaginazione. Si, perché abbiamo provato anche solitudine il 25 Aprile, come negarlo; molti dei protagonisti del ‘45 non ci sono più e noi, consapevoli che la Libertà non si finisce mai di conquistare, ci siamo sentiti più deboli e con maggiori responsabilità.
E sarà solitudine anche il 1° Maggio, intere generazioni condannate alla precarietà, vuoti a perdere di una drammatica crisi socio-economica e morale che la pandemia ha rafforzato. Ed allora, interrogarsi sul 25 Aprile e il 1° Maggio 2020, vuol dire camminare coscientemente sul crinale di una riflessione che deve farsi carico non solo della memoria ma anche del futuro. Dicevamo del senso della Storia, che non lo capisci finché ci sei dentro; ecco, come nel ‘45: siamo chiamati a cogliere l’unicità della fase che stiamo vivendo, comprenderla e scegliere di agire con responsabilità. Forse mai come adesso siamo stati così vicini ai giorni della Liberazione e delle lotte operaie.
Esiste allora la possibilità che in questo 2020 il senso della Storia ci appaia allo stesso modo che arrivò ai nostri nonni, limpido e cristallino seppur violento e tragico; ed è in questa sovrapposizione di due esperienze tra di loro lontane nel tempo che ritroviamo le ragioni della Resistenza per la libertà e per il lavoro. Ma attenzione: "perché farsi prigionieri della memoria, come se i nodi da sciogliere oggi fossero gli stessi di ieri? Perché non capire che la memoria non è prigione ma è libertà solo se rielabora i valori del passato nel presente, in vista del futuro?", scriveva Vittorio Foa.
Questo è l’errore che non dobbiamo commettere, e per farlo è fondamentale cercare di tenere tutto insieme, memoria, presente e futuro. Il 1° Maggio a San Giovanni, senza colori, bandiere e musica, non sarà la stessa cosa degli anni passati; calerà sulla piazza un vuoto enorme, un’immensa solitudine, il sentimento del lavoro che non c’è, lo spazio delle assenze, dell’emarginazione sociale che nutre ansia, che strema l’animo. Perché è di questo che parliamo quando parliamo oggi di lavoro. C’è una caduta verticale di sentimenti equivoci che ottundono le nostre menti quando una piazza simbolo come San Giovanni rimane chiusa. Soprattutto se accade per il 1° Maggio, ma, riflettere sulla festa dei lavoratori, vuol dire quest’anno domandarsi se il lavoro che non c’è sta divenendo un "non luogo" di povertà e disperazione sociale senza via d’uscita.
Ma vuol dire anche guardare alla Costituzione, all’articolo numero 1, alla solennità della sua formulazione, alla modernità di quelle poche parole, mirabili e innovative; la Costituzione che tutto tiene, il principio supremo che unisce libertà e lavoro, 25 Aprile e 1°Maggio. Ottantatré anni fa moriva Antonio Gramsci. In questi giorni claustrofobici ce lo siamo dimenticato. In una delle lettere per sua cognata Tatiana ebbe a scrivere "che il tempo è la cosa più importante: esso è un semplice pseudonimo della vita", e forse il significato della Storia può essere racchiuso proprio in queste poche parole.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sale solitario la scalinata del Vittoriano fino al sacello del Milite Ignoto dove è deposta la corona d’alloro. A San Giovanni la piazza accoglierà il silenzio e la luce radiante di un mazzo di garofani rossi che forse qualcuno poserà per terra. Due solitudini da colmare, due vuoti da riempire, il significato della Storia del nostro tempo che scorre e Resiste.
di EMILIANO CHIRCHIETTI