Gente d'Italia

Il futuro: ma quale futuro?

Il momento attuale mi spinge a fare tre riflessioni. La prima é ovvia: viviamo una situazione assolutamente imprevista e imprevedibile. La seconda é che mi pare che questa crisi segna il vero inizio del Secolo XXI, se per inizio intendiamo un cambio epocale della nostra societá. L’ultima riflessione, che si ricongiunge con la prima, ci fa pensare che non é facile (o addirittura é impossibile oggi) fare previsioni su come agire nei prossimi mesi ed anni, per cui viviamo un momento in cui ogni strategia organizzativa e produttiva cade.

In questo futuro incerto, vi sono comunque fatti sicuri: in primis, una ragionevole crescita della disoccupazione, che é giá in atto. E da che mondo é mondo, quando la disoccupazione cresce, il salario cala. Ma non é solo il salario che si assottiglia; la disoccupazione produce la crescita del settore informale dell’economia (l’economia in nero, non registrata) e l’apparizione di fenomeni di lavoro autonomo povero: i cosiddetti "lavoretti", di cui giá ho parlato in qualche occasione.

Per molti imprenditori non sará facile riaprire le porte delle loro fabbriche e attivitá di servizi. Leggevo in Gente d’Italia che gli chef italiani si preparano a riaprire i loro ristoranti ma con piatti piú poveri, perché saranno meno i clienti con possibilitá di pagare esose ricevute. Quindi invece di risotto con tartufi, si andrá verso gli spaghetti al pomodoro, anche se preparati da chef diplomati. In molti casi il dilemma sará tra accettare minori retribuzioni o scegliere la via della perdita del lavoro. Nessuno comunque sa bene se un nuovo contratto di lavoro meno favorevole al lavoratore sará considerato legittimo dal giudice. Vi sono imprenditori che mi dicono che vogliono tornare a lavorare, ma giá non possono farlo nelle condizioni precedenti. Ed io devo ricordare loro che il "futuro" é sempre pieno di elementi del passato: regole, istituzioni, abitudine, etc. Quindi bisogna essere cauto con le modificazioni delle condizioni di lavoro.

Intanto in questo futuro di incertezze appare como possibile il ritorno di un nuovo Stato Sociale, che dovrá continuare ad essere presente o "ancora piú presente". Cosí lo ha detto in una conferenza stampa lo stesso Presidente della Repubblica uruguaiana, il liberale Luis Lacalle Pou, che ha mostrato le sue simpatie verso l’economista inglese del secolo scorso John Maynard Keynes. Tanto per capirci, Keynes considerava indispensabili le politiche di Stato per mantener attiva l’economía, sostenendo il consumo dei cittadini. E’ celebre la frase di Keynes che afferma che in epoche di disoccupazione, bisogna - se ncessario - contrattare persone per scavare buchi nella sabbia. Non importa se il giorno dopo il mare avrá spazzato via tutto; ció che importa é che ogni persona abbia una retribuzione che consenta, con il loro consumo, sostener l’economía.

Un’altra domanda che mi faccio: avremo nel futuro un reddito minimo di cittadinanza? Forse lo scorso anno ero propenso a dire che una soluzione di questo tipo privilegia i nullafacenti; oggi ho i miei dubbi e penso che una eventuale disoccupazione dilagante, potrebbe far sí che lo Stato debba stabilire necessariamente aiuti assistenziali (quindi tutto sommato, forme diverse di reddito di cittadinanza). Cosa dovranno invece fare le organizzazioni sindacali. Se si continua di questo passo, tra pandemía e nuove tecnologie, i lavoratori subordinati si assottiglieranno. Quindi, ritengo che i sindacati dovranno capire la necessitá di aprire le porte anche ai lavoratori autonomi della piccola economia, ai micro-imprenditori, ai lavoratori in nero e alle nuove espressioni del lavoro semi-dipendente.

Ma la questioni piú complessa é quella che dovremo tutti adeguarci ad una nuova soggettivitá, cioé a un nuovo modo di concepire la nostra vita. Stiamo inesorabilmente passando dalla societá dello sfarzo e del consumo sregolato, ad una societá dove la "paura" del contagio (e dei contagi futuri, perché giungerá prima o poi la mutazione del virus e quindi nuovi rischi) ci costringerá a vivere in forma limitata.

Non piú viaggi, crociere, stadi gremiti, sposalizi de centinaia di invitati, tempo e denaro speso nei centri commerciali e fitness. La nuova soggettivitá timorosa ci impedirá di costruire progetti produttivi a medio o lungo termina. La conseguenza é che le nostre vite saranno píú limitate e "povere" che nel passato. E io intanto mi chiedo: quando potró tornare con mia moglie a vedere un film in una sala cinematográfica gremita di spettatori? Era cosí bello farlo, ma oggi anche un qualcosa di cosí semplice, sembra un sogno quasi irrealizzabile.

JUAN RASO

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