Il pallone nel pallone. Ormai sembra essere diventata una ragion di Stato: ricomincia il campionato si o no? Gli appassionati di calcio sono perentori: "Non si può bloccare uno sport così popolare senza assegnare lo scudetto alla squadra che lo merita". Chi la pensa in modo contrario replica con forza:" Possibile che non ci si renda conto che dopo tanti sacrifici di milioni di persone si debba rischiare di tornare alla clausura solo per seguire le follie di chi "muore di football"? Il ministro Vincenzo Spadafora è tra due fuochi. Sa che il problema non è di poco conto, perché la passione non ha limiti. Però mentre da una parte vorrebbe andare incontro a quanti "muoiono" per il calcio; dall’altra riflette sui pericoli che nascerebbero riaprendo la serie A e B: potrebbe voler dire rischiare grosso per una ripresa del Covid 19. Così aspetta le decisioni del comitato tecnico scientifico sfogliando la margherita. A chi gli chiede che cosa pensa non si sbilancia e risponde: "Dobbiamo avere ancora un po’ di pazienza e aspettare che gli scienziati si pronuncino. Dopo di che spetterà alla politica prendere la decisione definitiva". E’ soprattutto una questione di business. Altro che tifo, altro che attesa per assegnare lo scudetto. Il calcio muove centinaia di milioni di euro. Tra atleti professionisti, mediatori, interessi della tv e quelli delle società, il giro di affari è vorticoso. In più, non c’è da dimenticare la pressione dei media. In primis dei giornali sportivi, i quali non solo vogliono accattivarsi i dirigenti che contano, ma difendono soprattutto i loro affari perché è chiaro che con il campionato fermo le vendite in edicola sono diminuite notevolmente. Per cui ogni giorno insistono per dire che il calcio deve riprendere. Anche perché questo stramaledetto virus ha allentato la presa e le cifre danno ragione agli ottimisti, pronti a dire che con il caldo la pandemia sarà definitivamente distrutta. Senza contare, sostengono ancora i fautori della ripresa, che si giocherà sicuramente a porte chiuse, con gli stadi deserti e i tifosi incollati alla tv. Insomma, non ci sarà il pericolo del contagio. Su questo punto è necessario riflettere perché è vero che sarà scongiurato il problema delle gradinate stracolme di gente, ma è anche vero che anche quando si gioca con il pubblico a casa, in campo ci sono centinaia di persone tra riserve, accompagnatori, trainer, massaggiatori, medici e raccattapalle. Poi, non dimentichiamo la foga degli atleti: un tackle vuol dire stare vicini gli uni agli altri; un gol significa l’abbraccio tra i giocatori che vogliono festeggiare il compagno che ha segnato. Insomma, i pericoli non mancano e sarebbe controproducente non denunciarli. Pur tuttavia, le società premono fortemente perché affermano che lo stop ha già procurato danni incalcolabili e un addio al campionato aggiungerebbe altre perdite. Tutto vero, d’accordo. Nessuno nega che "business is business", gli affari sono affari, ma qui si tratta di comprendere a che cosa si andrebbe incontro in caso di una ripresa del virus. Milioni di italiani dovrebbero nuovamente rinchiudersi in casa, la malattia dilagherà in modo che nessuno può prevedere. E allora: è giusto che il campionato riprenda o sarebbe meglio finirla qui senza vinti né vincitori?
di BRUNO TUCCI