Il coronavirus rischia di dare il colpo di grazia alle popolazioni indigene dell'Amazzonia già minacciate pesantemente dall'attacco sistematico al grande polmone verde del pianeta provocato dai minatori, dai taglialegna e dagli allevatori di bestiame. Serve perciò un movimento internazionale che faccia pressione politica sul governo del presidente brasiliano Bolsonaro per evitare il contagio e la distruzione delle genti che vivono nella foresta, esposte ancor di più al virus per la loro incapacità a sviluppare anticorpi. È l'appello lanciato dal grande fotografo Sebastiao Salgado con la moglie Lélia Wanick, che ha ribadito l'importanza di questa battaglia in un colloquio online con la presidente del MaXXi, Giovanna Melandri, diffuso sui canali social del museo.
Il grande spazio espositivo della capitale l'anno prossimo ospiterà in anteprima mondiale la mostra di immagini scattate da Salgado tra le tribù dell'Amazzonia per un un progetto che lo ha impegnato negli ultimi dieci anni. Salgado punta il dito contro Bolsonaro, "eletto dall'agrobusiness e sostenuto da gruppi religiosi evangelici che vogliono conquistare le anime degli indios''. Nel 1500, all'epoca dei conquistadores, nella foresta vivevano dai quattro-cinque milioni di indigeni che vennero decimati anche dalle malattie. Gli attuali 300 mila indios divisi in 290 tribù, ha spiegato, ''possono essere completamente infettati ed eliminati, senza possibilità di aiuto e assistenza per la vastità del territorio. Il rischio di perderli è enorme''.
Nella sola Amazzonia brasiliana vive il 65% della popolazione indigena, 102 gruppi della preistoria dell'umanità che non hanno mai avuto contatti con l'esterno, per soltanto 38 dei quali sono conosciute le zone in cui vivono. Notizie recenti hanno segnalato che ci sono stati 120 indios infettati e 38 morti nelle zone suburbane delle grandi città come Manaus. Ma molti hanno contatti con le tribù, si incontrato e si spostano nella foresta. "L'esercito potrebbe fare molto per aiutarli - dice Salgado - ma ha bisogno di un mandato esplicito. Per questo l'obiettivo del manifesto è creare una task force per l' impiego militari in difesa delle popolazioni indigene''. La pressione sul governo brasiliano, precisa, deve essere esclusivamente politica, puntando al coinvolgimento internazionale.
Il maestro della fotografia ha cominciato a dedicarsi al progetto nel 2011 e per sette anni si è avvicinato con tutte le precauzioni (autorizzazioni, esami medici, quarantene per non provocare contagi…) a più riprese a 12 comunità difficili da incontrare. ''Gran parte delle immagini, con molte foto aeree, hanno riguardato i fiumi, gli alberi, le nuvole, il paesaggio. La grande scoperta è che l'Amazzonia non è solo la foresta, ci sono montagne alte come le Alpi e le cime europee, la savana. L'aria è carica d'acqua''. Il progetto fotografico sarà presentato a Roma, Parigi, San Paolo e Rio De Janeiro. Per la prima volta in una mostra di Salgado, un ruolo determinante sarà occupato dalla musica con brani del francese Jean Michele Jarre e composizioni dell' autore brasiliano Heitor Villa-Lobos che nei primi anni del Novecento sparì nella foresta e al ritorno documentò i suoni dell'Amazzonia.
''La musica e le mie foto … sarà un grande spettacolo - dice Salgado -. Ci sarà anche un video con l'intervento nella loro lingua di otto leader del movimento indigeno''. L'appello dopo pochi giorni aveva già raccolto 230 mila firme, tra cui nomi famosi dell' architettura, dell' arte, della letteratura, del cinema e della musica. ''Ne servono di più - dice il maestro - la speranza è di far prendere coscienza a tutti che la scomparsa delle popolazioni indigene sarebbe una tragedia estrema per il Brasile e una perdita immensa per l'umanità. Non c'è tempo da perdere''.