A due mesi dall’arrivo del coronavirus in Uruguay la vita si avvia lentamente verso una strana normalità. La curva dei contagi è stabile e già da diverse settimane si sta cercando di far ripartire le normali attività anche se qui non c’è mai stata una chiusura totale, la quarantena è stata solo volontaria: fedele alla sua tradizione civica, l’Uruguay ha scommesso infatti sulla responsabilità dei suoi cittadini per contrastare il virus evitando la chiusura drastica e i numeri, almeno per il momento, sembrano dare ragione al governo. In attesa dell’arrivo del grande freddo che rappresenta l’incognita più seria a Montevideo si respira un cauto ottimismo. Era il 13 marzo -meno di due settimane dopo l’assunzione del nuovo esecutivo di Lacalle Pou- quando venivano confermati i primi 4 casi nel paese sudamericano. Oggi i numeri del Sistema Nacional de Emergencias (Sinae) parlano di 19 morti e 733 positivi su un totale di oltre 33mila test: tra questi 558 sono le persone guarite mentre 156 sono attualmente i contagiati di cui 5 in terapia intensiva. 101 sono stati i casi riscontrati all’interno del personale sanitario di cui 93 guariti, 7 ancora positivi e una vittima. La maggior parte dei contagi si concentrano a Montevideo, specialmente nei quartieri benestanti Pocitos e Carrasco, a cui si devono aggiungere anche gli altri dipartimenti interessati: innanzitutto Canelones e poi ancora Maldonado, Treinta y Tres, Rivera, Colonia, San José e Río Negro. C’è invece una grossa preoccupazione per le città di frontiera che confinano con il Brasile, principale focolaio in America Latina, visto con timore oggi da tutti i suoi vicini. Il punto più critico attraversato in questa emergenza sanitaria dall’Uruguay si è avuto tra la fine di marzo e l’inizio di aprile quando l’aumento dei contagiati cresceva notevolmente fino a 40 positivi in 24 ore. Una cifra, questa, che in seguito si è ridotta drasticamente. Con il calo delle temperature tipico di questa epoca, il mese di maggio era e resta ancora decisivo per cercare di capire come si diffonderà il virus Sars-Cov-2 nel Paisito. I dati della prima metà del mese vengono interpretati con grande fiducia da parte degli esperti del ministero della Salute: il tanto temuto picco non c’è stato anche se bisognerà non abbassare la guardia nei prossimi mesi evitando il trionfalismo. Questi risultati, ci dicono, sono il frutto del distanziamento sociale e delle misure di prevenzione prese dai cittadini. È in questo contesto che sono state riaperte la metà delle scuole rurali nell’interno del paese, facendo tornare in aula, dal 22 aprile, 4mila bambini e 500 professori. Nel frattempo si prepara scrupolosamente la riapertura dell’intero sistema scolastico il cui annuncio dovrebbe arrivare a breve. Se dalla parte sanitaria ci giungono segnali incoraggianti non si può dire altrettanto dello stato di salute dell’economia che sta iniziando a soffrire una dura crisi. Secondo le proiezioni del Fondo Monetario Internazionale il PIL uruguaiano nel 2020 farà registrare una caduta del 2,7%, quasi meno della metà comunque della media latinoamericana che prevede un crollo del 5,5%. Molto più temuta del coronavirus è la disoccupazione che sta salendo alle stelle: già 100.000 persone hanno perso il loro lavoro in queste ultime settimane. Nonostante i sussidi promessi dal governo bisogna ricordare un dato allarmante diffuso dal ministero del Lavoro che ha stimato in 400mila l’esercito dei lavoratori informali che saranno lasciati soli e non riceveranno questi aiuti.
MATTEO FORCINITI