Gente d'Italia

“Il vaccino arriverà, ma l’Italia rischia di rimanere senza”

 

No all’idrossiclorochina o clorochina. Evidenze sull’effetto della cura al plasma. Stato avanzato nella ricerca sui vaccini e pericolo che senza un intervento tempestivo del Governo, l’Italia rischi di rimanere in coda per usufruirne. Per capire meglio a che punto siamo sia dal punto di vista delle terapie curative, sia di quelle preventive (si legga vaccino) contro il Coranavirus, abbiamo chiesto un aggiornamento al Professor Silvio Garattini, farmacologo e fondatore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano. "Se vogliamo procedere con ordine credo che sia praticamente tramontata una delle prime indicazioni, quella di utilizzare la combinazione Lopinavir-Ritonavir, trattamento che va bene per l’Aids. I dati non hanno dimostrato nessuna efficacia, ma una notevole forma di tossicità", ci spiega il Professore, che ribadisce e avalla la recente bocciatura da parte dell’Oms del trattamento con idrossiclorochina o clorochina, quella presa in forma "preventiva" dal Presidente Trump, per scongiurare il rischio di contagio. "Prodotti andati a ruba e ritenuti molto importanti. In realtà si è visto che c’è stato un aumento di mortalità e non una diminuzione come si sperava che potesse accadere. Rimangono in piedi altre possibilità, come i farmaci antiinfiammatori come Tocilizumab".

Quello contro l’artrite Sta andando avanti uno studio clinico controllato, anzi più di uno anche qui in Italia. Farmaco che si utilizza contro l’artite che però per le sue capacità antinfiammatorie può essere utile nell’eccesso di infiammazione che si sviluppa nella malattia polmonare da Covid. E’ ancora in discussione, perché non abbiamo ancora risultati. C’è uno studio dell’Oms in tal senso e ci sono studi approvati dall’Aifa che vanno avanti qui in Italia.

Poi c’è l’eparina Serve per contrastare le forme di coagulazione capillare che si formano in vari organi, incluso il polmone. La cosa appare ragionevole, però con rischi di emorragia, anche se non abbiamo ancora uno studio clinico controllato che ci permetta di stabilirne l’efficacia su base scientifica.

Discorso a parte merita la cura al plasma L’effetto della somministrazione di plasma dei soggetti guariti e plasma di convalescenti appare la più probabile. In realtà si tratta di un vecchio tipo di trattamento che è in uso da 100 anni, già utilizzato per molte malattie: rabbia, tetano, Mers e Sars e da cui stanno partendo altri studi. L’idea è quella di isolare gli anticorpi neutralizzanti per il virus ed evitare di somministrare tutte le altre proteine. Questo se avrà successo genererà tutta una serie di altri studi e una volta conosciuti come sono gli anticorpi, si possono rifare per via industriale. Ma non bisogna confondere questo tipo di trattamento con anticorpi che è di tipo curativo con l’effetto invece dei vaccini, che sono di tipo preventivo: generano anticorpi dovrebbero rimanere stabili nella memoria, mentre quelli che somministriamo per scopo curativo passano molto rapidamente perché l’organismo li metabolizza.

A proposito di vaccino. A che punto siamo? In stato di avanzamento, dalle notizie che riceviamo abbiamo dei passi in avanti. Ce ne sono almeno 8 nel mondo per i quali è finita la parte della sperimentazione animale ed è cominciata la sperimentazione umana, la cosiddetta Fase 1 e alcuni hanno finito anche la Fase 1. Per esempio quello che si sta studiando in Inghilterra in collaborazione con l’Irbm di Pomezia che è il vaccino dell’AstraZeneca, e quello che si sta studiando in America che è il vaccino della ditta Moderna: superata la Fase 1 e trovati gli anticorpi neutralizzanti per il virus, comincia la Fase 2 che è quella per stabilire sia la tollerabilità, sia le dosi più adatte. Poi c’è la Fase 3 che viene fatta su gran numero di persone sane per stabilire quante in realtà siano sensibili al’effetto del vaccino, quante sviluppano anticorpi e quante percentualmente hanno effetti collaterali. Se tutto va bene, sono ottimista, penso che per la fine dell’anno ci dovrebbe essere almeno un vaccino, ma penso anche più di uno, che mostra un’efficacia per giustificarne l’impiego. Però qui i problemi non finiscono, ma iniziano.

Ci spieghi meglio... Da circa un mese, con Medici senza Frontiere, abbiamo presentato appello al Governo perché si occupi del vaccino senza aspettare l’ultimo minuto. Ci sono già delle posizioni che hanno cercato di prendere in parecchi: il Governo degli Stati Uniti ha stanziato un miliardo per lo sviluppo del vaccino, ne ha messi molti altri per lo sviluppo di un vaccino interno, il governo inglese ha già ordinato 30 milioni di dosi. Noi dobbiamo cercare di intervenire perché dobbiamo essere sicuri che ci sia anche per l’Italia la possibilità di averlo e se non ci muoviamo in tempo ci ritroveremo con tutte le prenotazioni già fatte e l’impossibilità di acquistarlo.

Ma tecnicamente come funziona? Esiste un unico vaccino? Ci possono essere molti tipi di vaccini perché dipende da quello che utilizzano. Quello americano utilizza l’Rna del virus, per fare in modo che sia l’organismo a produrre le proteine che vengono viste come estranee. Vaccini che utilizzano il virus neutralizzato, vaccini che utilizzano le proteine del virus veicolate da un virus che non è contagioso. Esistono almeno una decina di variazioni delle modalità con cui si possono preparare questi vaccini e ci sono in giro per il mondo più di 100 gruppi che stanno facendo ricerca in tal senso.

Il primo Paese che taglia il traguardo produce il vaccino? Non esattamente. Ci vorranno miliardi dosi per soddisfare tutto il mondo, ci sarà bisogno perciò di più di un vaccino, perché è difficile che uno possa bastare per tutti contemporaneamente. E’ per questo che bisogna essere presenti sulla scena e eventualmente ricorrere alla licenza obbligatoria prevista dagli organismi internazionali per produrlo nelle nostre sedi. Quando c’è interesse di tipo pubblico si può richiedere, saltando il brevetto. Ma nel caso del vaccino non è così semplice come fare una sintesi chimica, è molto più complesso quindi per poterlo fare bisogna prepararsi per tempo.

In Italia siamo indietro? Non abbiamo notizie che ci siano degli interventi. Speriamo che si stiano muovendo. Noi abbiamo cercato di farlo presente, credo che sia necessario ripeterlo per essere sicuri che il Governo interagisca con i Governi dei paesi in cui si stanno sviluppando i vaccini, quelli più avanzati (ce ne sono un paio in Cina, un paio negli Stati Uniti, quello inglese che ha come base l’Italia, uno in Olanda, uno in Israele) per non trovarsi spiazzati.

Quando sarà disponibile verosimilmente per tutta la popolazione? Ci vorranno mesi. Inizialmente servirà per quelli più a rischio: operatori sanitari, persone più anziane con polipatologie, persone esposte per il lavoro al pubblico.

Mesi, non anni... Sì, perché poi la produzione può essere aumentata attraverso la replicazione in strutture che possono produrre il vaccino con la licenza obbligatoria, appunto.

Ci stiamo preparando anche ad eventuali mutazioni del virus? Per fortuna per quello che ne sappiamo fino ad oggi, e sono passati diversi mesi e sono state fatte più di mille determinazioni in vari Paesi, il virus non è cambiato sostanzialmente. Se cambiasse dopo l’arrivo del vaccino saremmo nella stessa situazione in cui ci troviamo per quanto riguarda l’influenza: ogni anno c’è un nuovo vaccino, ma è facile farlo perché si tratta di una variazione di un vaccino che già esiste.

Perciò se anche dovesse mutare in peggio, non ci dovremmo preoccupare? Se abbiamo già un vaccino è molto più facile adattarlo come succede per l’influenza, anche se purtroppo per ora non sappiamo come andranno le cose, non sappiamo se ci sarà una stagionalità o se finirà bruscamente come è successo con la Sars.

Il Professor Arnaldo Caruso dice che sta il virus sta “perdendo forza” Non ci sono evidenze scientifiche, quello che può essere successo certamente è che come molti dicono c’è un’attenuazione, ma non è detto che sia il virus ad essersi attenuato. Intanto purtroppo sono morti quelli più fragili, verosimilmente ci sono meno vecchi con più patologie; c’è stato il lockdown, c’è meno ressa negli ospedali e quindi ci si può occupare direttamente dei malati, il sistema di ossigenazione è più disponibile, c’è maggiore attenzione a quello che si deve fare. Una serie di miglioramenti avvenuti per la capacità di curare meglio non esagerando nella somministrazione di farmaci, ma occupandosi più dell’ossigenazione.

Un miglioramento sanitario, dunque. Ma il Professor Caruso dice aver isolato una variante di virus Sars-CoV-2 che “messa a contatto in vitro con cellule buone da aggredire, non riusciva nemmeno a ucciderle tutte”. Anzi, anche solo “per cominciare ad attaccarle necessitava di almeno 6 giorni” Bisogna che venga confermato, non ho visto pubblicazioni. Può darsi che abbia ragione lui, però il virus non è cambiato secondo quello che sappiamo da tutti i dati disponibili.

I dati sono positivi, c’è una diminuzione dei contagi e dei decessi. Lei scommetterebbe più sulla terapia farmacologica o sui vaccini in un prossimo futuro? Farmaci e vaccini devono andare di pari passo. Abbiamo bisogno di avere terapia perché possiamo continuare ad avere malattia. Il vaccino è un aspetto preventivo, agisce sul lungotermine. Abbiamo ancora davanti molto tempo prima che ci sia una vaccinazione generalizzata, quindi le due cose devono essere perseguite contemporaneamente, una non può essere abbandonata a vantaggio dell’altra.

L’impressione è che ci sia stata una risposta tempestiva in entrambi i casi da parte della comunità scientifica Non c’è dubbio che la ricerca scientifica ha reagito in modo sistematico, praticamente la gran parte della gente ha abbandonato tutto il resto per dedicarsi all’emergenza. Ma questo deve far riflettere. Non dobbiamo pensare che tutte le altre malattia siano risolte perché ci dobbiamo occupare dell’emergenza. E questo vuole essere ancora una volta un richiamo all’autorità politica, al Governo: la ricerca non è una spesa, è un investimento, ha bisogno di sostegno.

In Italia la ricerca non gode di ottima salute... Abbiamo una serie di deficienze molto importanti. In Italia abbiamo la metà (per ogni mille lavoratori) della media dei ricercatori europei, spendiamo l′1,2%, del nostro Pil per la ricerca, quando la media europea è del 2,2%, addirittura la Germania spende il 3,5%, il numero dei dottorati è meno della metà degli altri Paesi. Abbiamo grandi difficoltà nella sperimentazione animale per via dei movimenti animalisti che condizionano le decisioni del Governo, le università non rispondono alle nuove esigenze della cultura, le scuole sono ancora a livello di formazione letterario, filosofico, artistico, di fatto la scienza non entra e non esercita il suo effetto sulla cultura generale. Abbiamo molte cose da fare e dobbiamo essere realisti: spediamo (ma non è vero perché i soldi poi non vengono distribuiti se non con grande lentezza) circa 22 miliardi all’anno per la ricerca, ma ne spende quasi 50 la Francia. Per non parlare dell’ultimo decreto.

La “poderosa manovra di 55 miliardi” di Conte? Esattamente. Aggiungere 600 milioni, che arriveranno in non si sa quanti anni, da destinare alla ricerca è un nulla, non cambia la situazione. Bisogna pensare ad investimenti di miliardi per cercare di raggiungere il livello degli altri Paesi. Se spendono è perché hanno capito che senza ricerca lo sviluppo di un Paese è molto rallentato, è difficile fare innovazione. Dobbiamo prendere provvedimenti significativi, non la solita pioggia che accontenta tutti, ma che di fatto non accontenta nessuno e non risolve nessun problema.

di LINDA VARLESE

Exit mobile version