Copan, azienda di Brescia, attiva in tutto il mondo nel settore delle biotecnologie. Un nome divenuto familiare per tutti, e non solo in Italia, in questi mesi di Coronavirus. Una popolarità che in marzo ha colpito l'opinione pubblica italiana anche per quei 500.000 tamponi venduti agli Stati Uniti, in piena pandemia. Già i tamponi, divenuti imprescindibili in questa lotta che sta impegnando tutto il globo. Ma la storia della Copan Diagnostics, 600 dipendenti, sedi in tutto il mondo, creata nel 1979 dallo scomparso Giorgio Triva, trasformatasi poi in gruppo internazionale, ma sempre a conduzione familiare, ha anche un altro aspetto, d'accordo piccolo, ma curioso perché ci porta negli Stati Uniti. E più esattamente a Guilford, nel Maine dove ha la sede la Puritan Medical Products, azienda secolare, nata nel 1919, la cui storia è cominciata nel Michigan, a Saginaw, produceva stuzzicadenti, per poi un anno dopo trasferirsi nel Maine.
Poi la diversificazione, bastoncini per i gelati e quelli per le orecchie (i cotton fioc...), anticamera per l'ingresso nel campo sanitario che nel 1938 vedeva lo sviluppo del primo vaccino antinfluenzale, che servì soprattutto per proteggere i soldati americani durante la II Guerra Mondiale. Poi nel 1948 il Puritan Brand trademark, che poi ha dato il nuovo nome alla azienda, un incendio che nel 1960 distrusse lo stabilimento, ma non fermò la crescita sempre più orientata nel settore della sanità. Infine i tamponi, che sono poi l'evoluzione dei bastoncini di cotone per uso in campo medico, l'esempio più conosciuto, fino a poco tempo fa, i test per il DNA. Poi nel 2012 ecco che Puritan Medical Products e Copan Diagnostics hanno cominciato a incontrarsi in tribunale. L'accusa del gruppo italiano nei confronti di quello statunitense? La violazione di brevetti appunto riferentesi ai tamponi.
Udienze davanti a giudici negli Stati Uniti e in Europa, la difesa dell'azienda a stelle e strisce che puntava sul fatto che la Copan avrebbe brevettato solo il metodo per testare e non il tampone stesso, molto più sofisticato ovviamente rispetto a quelli che si trovano nei supermercati e in farmacia. Infatti sono lunghi e sottili con asticelle di plastica e piccole fibre sintetiche disposte sulla punta, perfetti per la raccolta di test virali. Una volta che il campione viene 'catturato' dalle fibre viene messo in una fiala riempita con sostanze chimiche protettive in modo da essere inviato al laboratorio. Ecco questo il procedimento, ma dietro c'è il 'tampone' e la lunga battaglia tra Copan Diagnostics e Puritan Medical Products. Con l'esplosione del Coronavirus ovviamente questi tamponi sono diventati fondamentali e ricercati, e la sfida è diventata quella di tenere il passo con una domanda che ogni giorno è sempre più elevata.
Ma proprio la grande crisi mondiale per il COVID-19 ha trasformato in tregua, la lotta tra le due aziende. Infatti qualche settimana fa, gli avvocati delle due parti in causa hanno chiesto al District Court del Maine che tutte le scadenze in sospeso del caso vengano revocate fino a quando "la crisi non passerà" aggiungendo anche che le due aziende "si impegneranno al fine di risolvere i problemi tra di loro, in buona fede". C'è stato poi anche un comunicato congiunto. "Puritan e Copan - si legge - potrebbero anche non essere d'accordo sul merito della causa in corso, ma sono unite su un punto: tutte le loro risorse in questo momento devono essere dedicate alla produzione dei tamponi per i test. E inoltre l'attuale pandemia potrebbe cambiare radicalmente i contorni di questo caso".
E così il giudice Jon. D. Levy ha accolto la richiesta. Timothy Templet, co-proprietario della Puritan e vice presidente esecutivo, non ha voluto commentare gli sviluppi amichevoli che ha preso la controversia e lo stesso si è avuto anche da parte di Rebecca Gray Klotze, avvocato di Portland (la più grande città del Maine) che segue gli interessi della azienda di Brescia. E intanto, con le due ex rivali che adesso si sono messe dalla stessa parte, per il bene di tutti, Puritan ha ricevuto, l'altra settimana, la visita del presidente Donald Trump, un'altra tappa di un tour voluto per elogiare lo sforzo produttivo del made in USA e mettere in rilievo una attività da parte dell'industria americana che non si vedeva dalla Seconda Guerra Mondiale. Ma, come sempre quando si tratta di questo inquilino della White House, anche in questa occasione non sono mancate le polemiche.
Roberto Zanni