Appalti regola aurea: specie se grossi gli appalti lottizzarli con cura. Con cura che nessuno sia escluso, con cura che tutti vincano un po’. Regola aurea per evitare guai, anche e soprattutto giudiziari. Dovrebbe essere ormai nel manuale del politico amministratore: indici un appalto, concorrono in tanti, dividi l’appalto in lotti, assegnarne un lotto a ciascuno. Magari piccolo, ma un lotto a ciascuno. Che nessuno resti escluso. Se qualcuno resta escluso, se qualcuno vince la gara d’appalto, è comune prassi imprenditoriale che il perdente dia lavoro agli avvocati. Si fa ricorso, si fa sempre ricorso. Fare ricorso fa parte della pianificazione aziendale.
Si fa ricorso al Tar. Così gli effetti pratici e materiali della gara d’appalto si fermano, si stoppano. E chi ha bandito e chi ha vinto l’appalto si trovano l’uno senza il cantiere dell’opera pubblica o senza il servizio appaltato e l’altro con i finanziamenti stanziati sì ma bloccati pure, quindi senza pagamenti. Mentre il Tar passa dalla sospensiva cautelare e poi magari passa la palla al Consiglio di Stato, una via d’uscita c’è: quella a cui in sostanza mirava il ricorso. Prendere un pezzo dell’appalto e assegnarlo, riformulato, alla azienda che ha fatto ricorso. Non si fa così brutalmente, ci si mette sopra un velo leggero di eleganza e di sottile legalità: si riformula il bando, quindi la gara, quindi l’assegnazione. Certo, si allungano a dismisura i tempi dell’opera da realizzare o della fornitura del servizio. Certo così facendo aumentano i costi e si spende e si spande più denaro pubblico. Ma non era proprio questo che in fondo si voleva? Se ricorso al Tar non basta a determinare riformulazione del bando e quindi suddivisione dell’appalto in appalti al plurale, allora la pianificazione aziendale più professionale ha imparato a sollecitare anche la Procura. Si fa un esposto, la Procura raccoglie, non fosse altro che per dovere di ufficio.
Se va bene al ricorrente/espositore, allora si apre una indagine conoscitiva. Per carità, indagine senza indagati e magari anche senza ipotesi di reato. Indagine che però blocca, anzi riblocca. E inevitabilmente diffonde sull’appalto concesso un’aura di sospetto, di "pastetta" tra il politico amministratore e l’azienda che l’appalto originari aveva vinto.
Aggiungere e mescolare, aggiungere la certezza di massa che ogni atto politico sia in fondo atto corruttivo, aggiungere la cultura profonda anti aziendale che vige nel paese per cui ogni profitto è in fondo privilegio, aggiungere e mescolare. Ne vien fuori appunto la regola aurea per cui in Italia in caso di appalto, soprattutto se grande, per evitare cantieri blocca- ti e guai giudiziari, meglio lottizzare. Prima e con cura. Così fan tutti? Non proprio, anzi no: in Francia ad esempio l’azienda che fa ricorso contro l’esito di un bando di gara ottiene sentenza civile in tempi relativamente rapidi. Se la sentenza le dà ragione viene risarcita. Ma in caso di sentenza che le dia torto e che giudichi il ricorso immotivato e strumentale, allora l’azienda ricorrente a torto paga in solido i danni economici inferti alla collettività e alla concorrenza. Non ci crederete ma in Francia ad esempio, chissà perché, i ricorsi contro le assegnazioni di appalti sono abbastanza rari.
Lucio Fero