Alla fine l’ultimo ad arrendersi è stato lui, il soldato Gigi, "fucilato" dal sinistro del polacco Milik, dopo che i suoi tiratori poco scelti, Dybala e Danilo, gliel’avevano complicata fin dall’inizio di quella che un tempo si chiamava "lotteria dei rigori". A dire il vero, i giochi avrebbero potuto chiudersi venti minuti prima se, su un corner maldestramente concesso da un confuso Bernardeschi, il solito 42enne irriducibile non avesse preso sulla linea la palla inzuccata dall’aitante Maksimovic, uno che, con Sarri in panchina, l’erba del campo da gioco lo toccava poco. Il tecnico toscano nato a Napoli stavolta sedeva sulla panca bianconera, dove solo due anni fa minacciava di querelare chi l’avesse accostato a quei colori.
Sulla sponda azzurra Rino Gattuso, un calabrese con i calli ai piedi per il troppo correre, per sé e per gli altri, chiamato prima di Natale alla corte di re Aurelio per rimettere in carreggiata un cocchio privo di guida. Per Gigi Buffon una scena già vista due anni fa: lui in porta, il coetaneo, ed ex compagno in Nazionale, avversario in panchina. Allora finì 4-0 per la Juventus di Allegri contro un Milan raddrizzato in corso d’opera dal suo vecchio mediano, promosso in fretta e furia dalla Primavera. Almeno due delle quattro reti juventine pesarono come un macigno sulle larghe spalle del giovanissimo e pagatissimo portiere Gigio Donnarumma, che nell’occasione si dimostrò pari al "vecchio" Buffon solo nel nome di battesimo. Quello che non è accaduto con il 23enne friulano Meret, il quale, reduce da una stagione in chiaroscuro e chiamato in causa solo per la squalifica del colombiano Ospina, eroe della semifinale con l’Inter, ha saputo rispondere con una prestazione pari in tutto a quella del suo idolo delle giovanili nell’Udinese. Proprio la gara di Meret, spesso "degradato" a secondo da Gattuso, e in genere di tutti gli azzurri partenopei induce a qualche riflessione. Il Napoli ha gettato nella mischia cuore e sangue, tecnica e corsa, i ragazzi di Gattuso sembravano voler vincere anche per far felice il loro allenato- re, un uomo che negli ultimi dodici mesi si è fatto apprezzare anche per i suoi atti concreti di solidarietà nei confronti degli operatori meno pagati del circo calcistico. "Per uno così ci saremmo buttati nel fuoco", hanno sempre detto Gigi Riva e gli altri del Cagliari campione riferendosi a mister Scopigno. Viceversa, in questi ultimi dieci mesi raramente si è avuta la sensazione che i campioni in maglia bianconera provassero questo attaccamento verso il loro pur bravo tecnico. Il calcio, come tutti gli sport di squadra, soggiace a delle leggi non scritte che vanno oltre gli schemi, le lavagne e la preparazione atletica. La capacità di suscitare entusiasmo e spirito di immedesimazione è altrettanto essenziale per conquistare l’adesione di un gruppo a un progetto. È difficile da insegnare perché, come direbbe Gattuso, "chi nasce tondo non muore quadrato", ma ci si può e ci si deve lavorare su. Perché è una qualità che si rivela decisiva per trasformare un manipolo di abili solisti appagati in un’orchestra affiatata e affamata. Come ripeteva il saggio Liedholm, "nel calcio vince chi ha più fame". E il Napoli e il suo tecnico mercoledì sera venivano da un lungo digiuno.
Redazione Centrale