Un Papa e un recentissimo (ma non unico), Presidente della Repubblica: a cos’altro ambire per avere la consapevolezza di quanto, sacrificio su sacrificio, i nostri italiani in Argentina hanno saputo costruire? Traguardi che riempiono di orgoglio non solo chi ha scelto questo Paese come seconda Patria, ma anche tutti gli italiani, anche se quelli in Italia non sono ancora consapevoli di quante pagine gloriose abbia scritto la nostra emigrazione in tutto il mondo. Ma la lista di personalità, di uomini e donne che hanno lasciato tracce in ogni settore di questo Paese, è infinita. D’altra parte, Luigi Einaudi in Un principe mercante, studio sulla espansione coloniale italiana, pubblicato nel 1900, scriveva: "Quasi tutto in Argentina può essere collegato agli italiani". A cominciare da coloro che hanno combattuto per la libertà dell’Argentina stessa, come Manuel Belgrano, nato nel 1770 a Buenos Aires, nelle sue vene sangue ligure. È stato anche il "padre" della bandiera argentina (creata nel 1812). E nessun campo, nessun settore, nessuna arte può mancare di citare tra i grandi, un nome italiano: Ernesto Sabato, Omar Sivori, Astor Piazzolla… sarebbe infinito l’elenco, e le scuse sono d’obbligo per i tanti, tantissimi altri che è impossibile citare.
Tanta strada hanno fatto gli italiani d’Argentina, cui Ivano Fossati ha dedicato una canzone (Trasmettiamo da una casa d'Argentina// Illuminata nella notte che fa// La distanza atlantica// La memoria più vicina// E nessuna fotografia ci basterà), e nonostante la "distanza atlantica", resta sempre fortissimo il legame con l’Italia, lo conferma anche il numero dei votanti alle elezioni del 2008: su 500mila iscritti all’Aire, il 63% ha votato per il rinnovo di Camera e Senato, si tratta della percentuale più alta in assoluto, con una media mondiale pari al 44,88%. Un legame che si esprime, concretizza, anche con la cultura: è proprio "l’Argentina il Paese che ospita il maggior numero di Comitati della Dante, una conferma del grande interesse verso la nostra lingua", ricorda Alessandro Masi, Segretario generale della Dante Alighieri. Attualmente sono 102 le sedi della Società che contribuiscono a diffondere la lingua e la cultura italiana: il più antico Comitato è nato a Buenos Aires il 19 settembre 1889 per volontà di un gruppo di italiani presieduti dal Dottor Attilio Boraschi. E con l’arrivo dei nostri connazionali, l’italiano, i dialetti, contribuirono a creare altre "lingue": come il cocoliche e il lunfardo.
"Entrambi, cocoliche e lunfardo, dalla metà del secolo XIX convissero sulle rive del Rio de la Plata e furono la manifestazione inattesa del risultato del progetto liberale di modernizzazione del paese attraverso l’immigrazione. Fu così – spiega Giuseppe Sommario in Le due Calabrie: il contatto linguistico e culturale fra Italia e Argentina - che il lunfardo divenne prima la lingua del tango, per poi impregnare successivamente la parlata colloquiale dei rioplatensi; il cocoliche scomparve gradualmente, sopravvivendo innanzitutto nei testi del teatro popolare rioplatense. Anzi, il termine nacque proprio a teatro: così si chiamava il personaggio che nel sainete (genere comico, breve e popolare) impersonava l’immigrato italiano (il tano, aferesi di napolitano che passò a designare l’emigrante italiano in generale e tutti i suoi discendenti)". E così, pur se necessario è stato imparare il castigliano, definita "la lingua del pane", come afferma Giuseppe Sommario, il dialetto, l’italiano, si impone come "la lingua dell’essere e del cuore: la lingua-madre-terra-paese, sentita come fatto personale, segno d’appartenenza".
Dal 1850, anno in cui si fa risalire la prima presenza italiana in Argentina, in pratica, il flusso non si è quasi mai interrotto e fino al 1976 ben 3 milioni di connazionali hanno attraversato l’Oceano per raggiungere i porti argentini. Un’emigrazione che era ben voluta, ben accolta, un Paese così sconfinato per anni ha reclamato braccia (ma non solo), tanto che nella Costituzione della Confederazione Argentina (1953) si incoraggiava l’emigrazione dall’Europa senza "limitare o gravare con alcuna imposta l’ingresso nel territorio argentino degli stranieri che abbiano per oggetto coltivare la terra, migliorare le industrie, introdurre e insegnare le scienze e le arti". E arrivarono dal Veneto, dalla Lombardia e dalla Liguria, inizialmente, ma subito dopo anche calabresi, abruzzesi, pugliesi, campani… scelsero questa terra per il loro "sogno". Arrivarono per andare in ogni angolo di questo immenso Paese, fino a raggiungere la città più meridionale del mondo (Ushuaia) che reca ancora oggi numerose tracce italiane. E da subito iniziarono a costruire, letteralmente, il Paese: strade, piazze, scuole, interi quartieri, e ospedali.
L’ospedale italiano di Buenos Aires vide la posa della prima pietra nel 1854. Un’altra conferma di quanto consistente era la comunità italiana, lo ricordano Donatella Strangio ed Elena Ambrosetti in Italiani in movimento-Ripensare l’emigrazione italiana in Argentina: "Il numero elevato di persone provenienti dall’Italia in Argentina era evidente anche dai quotidiani in lingua italiana, come ‘La Patria degli Italiani’ di Buenos Aires, che vendeva più di 40.000 copie nel 1909 e che rappresentava il terzo giornale più venduto in Argentina dopo ‘La Prensa’ (100.000) e ’La Nación’ (60.000)". E numerosissime sono state anche le radio e le televisioni che ogni giorno, per decenni, hanno regalato alla comunità informazioni, interviste, storie e musica dall’Italia. Altra realtà creata dai nostri connazionali, quella dell’associazionismo. Già agli inizi del 1900 si contavano circa 500 associazioni per un totale di oltre 150.000 iscritti. Citiamo l’Unione Benevolenza nata nel 1858, che vanta tra i suoi fondatori il patriota Virginio Bianchi: fu proprio lui a portare, come preziosa reliquia, il Tricolore che sventolò sulle barricate di Milano. E in occasione delle celebrazioni in ricordo dei moti del 1848, come un viaggio a ritroso nel tempo, quel Tricolore tornò a Milano per una esposizione. Oggi, gelosamente custodito, il Tricolore è una delle "perle" dell’Unione Benevolenza.
Impossibile, inoltre, non ricordare anche i numerosi italiani legati al mondo dell’imprenditoria: "Gli italiani, a Buenos Aires, tra il 1880 ed il 1930 erano oltre il 50% dei proprietari o lavoratori dell’industria locale, e dal 1910 comparvero le prime filiali di grandi compagnie italiane come Pirelli, Cinzano e Fiat. Gli italiani iniziarono a dirigersi anche verso altre province e città come Santa Fe, Cordoba, Entre Rios, Mendoza. Quest’ultima divenne una delle mete più gettonate dell’emigrazione italiana". E sono sempre Donatella Strangio ed Elena Ambrosetti a scrivere: "Nel 1910 esistevano più di 780 cantine e 675 distillerie, quasi tutte in mano agli italiani. Oltre che nel mondo degli affari, la presenza degli italiani aumentò anche in ambito intellettuale e scientifico". Una comunità forte, nonostante le crisi, economiche e politiche, che hanno più volte messo in ginocchio l’Argentina; una delle più tremende fu quella del 2001.
Il 20 dicembre, al Senato, veniva approvata la legge sull’esercizio del diritto di voto per gli italiani all’estero. Finalmente si concludeva la grande "avventura" intrapresa dall’allora Ministro per gli Italiani nel Mondo, Mirko Tremaglia che, dopo una legittima, forte emozione, subito si dedicò a verificare la situazione della comunità in Argentina. Proprio in quei giorni le notizie che arrivavano erano a dir poco allarmanti, e il 21 dicembre, le sommosse, le proteste costrinsero il Presidente Fernando de la Rua a rassegnare le dimissioni. Una crisi ricordata anche per la grande richiesta, da parte degli oriundi, della cittadinanza italiana, una vera e propria corsa al passaporto per vedere agevolato un eventuale ritorno in Europa. Tra alterne vicende, ancora oggi l’Argentina è meta di consistenti flussi. Con Delfina Licata, curatrice del Rapporto Italiani nel Mondo, edito dalla Fondazione Migrantes, nel corso di un’intervista a La Gente d’Italia, ci eravamo soffermati su una nuova categoria di emigranti definiti "di rimbalzo": "Tanti di coloro che sono partiti – ha spiegato la Licata - affrontano oggi una seconda partenza. Intendo dire che sono già rientrati dall’estero, ma in questo momento storico, con un’Italia così difficile dal punto di vista economico, occupazionale e sociale, si rendono conto che la vita all’estero era più facile, e così ripartono alla volta della nazione che per tanto tempo è stata la seconda casa".
Ed è proprio l’Argentina a contare un numero consistente di questi connazionali. Abbiamo parlato di quanti italiani ed oriundi sono diventati simboli dell’Argentina, non poteva mancare un eroe: Anacleto Bernardi, nato nel 1906 nella Provincia di Entre Ríos da genitori italiani, come ricorda Domenico Vecchioni in un articolo pubblicato sulla Rivista Marittima. Durante il naufragio del piroscafo Principessa Mafalda, partito da Genova l’11 ottobre 1927 con a bordo anche circa 700 emigrati (in prevalenza liguri, veneti e piemontesi), Anacleto Bernardi dopo aver contribuito a mettere in salvo numerosi passeggeri, fece il gesto che lo rese un eroe: quando la salvezza era ormai vicina, pronto a lasciare il piroscafo, il marinaio Bernardi rinunciò al suo salvagente per donarlo ad un passeggero anziano, Giovanni Fasano, terrorizzato perché non sapeva nuotare. Così lo aiutò ad indossare il suo salvagente, e insieme si tuffarono nelle acque dell’Oceano Atlantico, a circa 80 miglia dalla costa brasiliana, per raggiungere una scialuppa. Anacleto Bernardi fece in tempo a salvare Fasano, ma non riuscì a sottrarsi all’assalto di uno squalo. "Ancora oggi – scrive Domenico Vecchioni - in Argentina, il 25 di ottobre (giorno del naufragio) si celebra il cosiddetto ‘Dia del Conscripto Naval’, in ricordo dell’italo-argentino Anacleto Bernardi, il cadetto che sacrificò generosamente la propria vita per salvare quella degli altri".
Giovanna Chiarilli