Fra il Tikitaka e l’Intensità, ultime tendenze del calcio europeo, ho preferito la sublimazione del Sergente di Ferro a Manipolatore di Spiriti, voluta da Conte alla Juve, agli automatismi di Guardiola al Barca non solo noiosissimi ma strettamente legati ai protagonisti. Shakespeare è Shakespeare – come il calcio è il calcio – ma l’Amleto di Gassman è ben diverso dall’Amleto di Albertazzi (che ho preferito per intensità di sentimento più che di mente, di cuore più che di voce).

Le formule da enciclopedia s’azzerano senza Messi o Iniesta, la sostanza tecnica può essere elaborata da una intelligenza. Per dire, l’ultimo grande tecnico straniero approdato in Italia, Josè Mourinho, è stato osannato per aver esaltato il contropiede grazie a un gruppo di campioni, come mezzo secolo prima Helenio Herrera, e non ha preteso di avere reinventato il calcio, ha solo vinto, alla faccia di chi canta "bisogna saper perdere" per giustificare proprie carenze.

Immagino che qualche opinionista alfabeta – voglio dire lettore – possa contestare l’assenza da questa nota del Sarrismo ma sono sicuro che di questa passioncella resterà traccia solo nella Treccani visto che l’ex Comandante è diventato a pieno titolo l’Allenatore della Juve solo da poco, da quando ha accettato l’esistenza di Ronaldo, di Dybala, di Douglas Costa, di Cuadrado e esaltato le qualità di Bentancur che non era certo nato per diventare il cuore della Signora; per aver fatto il suo dovere, risultando il creatore dell’Amalgama che si chiama squadra, a Sarri dopo le sviolinate gli han dato dell’inutile. Ma si sa, a volte certe critiche sono attestati di stima.

Dicevo dell’Intensità: a Milano non s’è vista, forse è stata una libera scelta per non juventinizzare vieppiù un’Inter già costretta a consegnare la guida tecnica e aziendale a due "nemici"; forse per liberarsi dell’ironia di quei critici che si sono ridotti a celebrare Conte solo per i successi conseguiti a Torino e a Londra chiedendogli una terza via che l’Inter non frequenta, abituata agli altari o alla polvere. L’Intensità – intesa come laboratorio dove si riaccendono le vocazioni spente – avrebbe certo giovato a Gagliardini, oggi infamato dai suoi supporters instupiditi dal virus, ma soprattutto ai due Scandalosi, l’Eriksen mai acceso e il Lautaro Innamorato. Non dell’Inter.

C’è anche un’altra spiegazione più intima alla sparizione dell’Intensità: forse l’inventore si è sentito cresciuto al punto di non aver bisogno di gherminelle, "io sò io" eccetera: seppoffà. Ma il così radicale ripudio mi ha fatto ricordare una storia antica: il Fulvio Bernardini che giocando sui ruoli di Magnini, Chiappella, Segato e soprattutto di Prini, reinventato ala tornante, fece vincere lo scudetto alla Fiorentina e entusiasmò Brera che lo chiamò Dottor Pedata e gli propose di schematizzare quell’escamotage fiorentino restando poi deluso dal "no" dell’interessato al quale non garbava essere istruito da chicchessia, neanche dal Gioànn; tant’è che ott’anni dopo s’inventò il terzino Capra ala sinistra nello spareggio con l’Inter e beffò il Mago monostile.

Me ne parlava sempre, fino a pochi mesi fa, Mariolino Corso, vittima di quel trucco, per infierire su Herrera che ogni anno ne chiedeva la cessione. Voglio dire che con un tocco di modestia e ironia l’attuale leader tecnico dell’Inter potrebbe ripristinare il regime dell’Intensità in una squadra che spesso si perde – fateci caso – dopo l’intervallo, al contrario di quanto succedeva alla Juventus.

C’è chi di questo spirito che aiuta psicologicamente il recupero delle energie fisiche sta facendo mostra: è Gasperini, non più attratto dalle formule numeriche che spiacquero all’Inter ma dal cocktail di tecnica e sentimento che suggerisce battute sull’Intervallo Bergamasco, laboratorio di volontà e generosità per calciatori che esprimono in particolare il talento della modestia e dell’ubbidienza. Non è imitazione dell’intensità, questa, è qualcosa di più: è Atalanta. L’attendo, curioso, alla prova Champions. Chissà…

ITALO CUCCI