Processerà da imputato le correnti. Magistrati entrati in politica, ex ministri, procuratori, membri del Consiglio Superiore della Magistratura. Sotto processo, si difenderà chiamando a testimoniare 133 testi. Luca Palamara metterà sotto processo la magistratura, davanti alla sezione disciplinare del Csm, a partire dal 21 luglio. Sul banco degli accusati l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara, e le toghe coinvolte dalle intercettazioni e dalle chat. Il sistema posto in essere per pilotare le nomine ai vertici delle Procure. Centotrentatre testi, un elenco sterminato. Servirà a cosa? Palamara intende di- mostrare l’esistenza di "una prassi costante, di strategia e comunque di interlocuzione" tra togati ed ex togati del Csm. Le correnti di appartenenza e i loro diretti referenti del "mondo della politica" per ogni nomina. E che lui, l’ineffabile spregiudicato incontrollabile Luca Palamara, era amico dei colleghi Giuseppe Pignatore e Paolo Ielo. Secondo la Procura generale, le vittime di un tentativo organizzato di denigrazione.
La magistratura italiana e il suo sistema di autogoverno, e non lui e il suo illegale sistema, accusato di gravi illeciti disciplinari. Il più importante e sconcertante per un magistrato "l’indebita interferenza nelle funzioni costituzionalmente previste" del Csm. C’è grande attesa, che cresce giorno dopo giorno, per l’elenco delle persone indicate da Pala- mare da convocare davanti al tribunale dei giudici.
L’ex pm inquisito dalla Procura di Perugia per corruzione, e per il quale la Procura generale della Cassazione ha esercitato l’azione disciplinare, attraverso i 133 testi, mira a rovesciare le accuse denunciando un "andazzo generale al quale lui si sarebbe semplicemente adeguato". Il tentativo di Palamara appare sulla carta alquanto bizzarro. Una linea difensiva che diventa d’attacco. Posta in essere citando i nomi più altisonanti della politica giudiziaria e dello stesso Csm che si sono avvicendati negli ultimi trent’anni.
Ci sono tutti, mancano solo l’attuale presidente della Repubblica e il suo predecessore Giorgio Napolitano. Il lungo elenco comprende però i consiglieri giuridici di Mattarella e Napolitano. E comprende due ex ministri della Giustizia, Giovanni Maria Flick e Andrea Orlando, e il già titolare del ministero della Difesa, Roberta Pinotti. Altri nomi importanti? Tanti: gli ex parlamentari del Pd, Gianrico Carofiglio, Anna Finocchiaro, Donatella Ferranti. L’ineffabile Palamara mette tutti in una sorta di cupo- la paragonabile a quella di tipo mafioso. I procuratori di Milano, di Napoli e di Palermo, Francesco Greco, Giovanni Melillo, Francesco Lo Voi. E quello di Bologna, Giuseppe Amato.
Lo sterminato elenco si presta a un’ipotesi di giudizio estremamente inquietante: se fossero provate le accuse che Palamara spargerà, saremmo obbligati a riconsiderare l’intera attività di trent’anni della magistratura in Italia. Dovremmo ammettere che sono state commesse ingiustizie giuridiche e reati a vario titolo. Saremmo stati giudicati da una mossa di togati imbroglioni creatori di un sistema squallido e delinquenziale. Gente, magistrati, mossi da un unico (per ora presunto) interesse: l’accaparramento di cariche all’interno della loro organizzazione. Palamara intende citare anche Il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, e alcuni ex magistrati di grande spessore. Edmondo Bruti Liberati, Guido Lo Forte, Antonio Ingroia, Eugenio Albamonte e Francesco Minisci, già vice presidenti di Anm. Ci sono proprio tutti i grandi nomi: Cesare Mirabelli, Nicola Mancino, Giovanni Legnini, Michele Vietti. Il passato e il presente del Csm, compresi alcuni componenti della Sezione disciplinare che deve pro- cessare Palamara.
Il grande accusato sembra intenzionato a istruire un processo al correntismo. L’accusa disciplinare appare però circoscritta. Palamara avrebbe tentato di pilotare le trame contro Pignatore e Ielo. E dall’esterno del Csm, la nomina del nuovo procuratore di Roma. Circostanza questa emersa dalla riunione, ormai famosa e intercettata all’hotel Champagne di Roma. Interlocutori in quella occasione Cosimo Ferri e Andrea Lotti, allora deputati Pd, e cinque membri del Consiglio poi "dimissionati".
Su questo fatto specifico dovrà decidere la Sezione disciplinare del Csm. Ovvero se ammettere o non ammettere le testimonianze dei testi chiamati da Palamara. Compresa quella di Giovanni Bianconi, giornalista del Corsera, in riferimento a due colloqui intercettati con Palamara (maggio 2019). L’ex pm proverà a sostenere che non c’era niente di strano nella sua manovra tesa a far nominare un procuratore di Roma invece di un altro. Una sorta di "Buscetta della magistratura", Luca Palamara. Anche in relazione alla sentenza dell’agosto del 2013 nei confronti di Silvio Berlusconi, tornata al centro del dibattito politico. Palamara vorrebbe chiedere spiegazioni a Piergiorgio Morosini di Magistratura Democratica, ex collega del Csm "sugli accordi tra gruppi successivi alla sentenza" che condannò definitivamente il cavaliere, provocandone l’uscita dal Parlamento. Pensavamo fosse tutto vero, giuridicamente irreprensibile. Speriamo di non dover consta- tare che, eccetera eccetera... Ne ascolteremo di cose stupefacenti e schifose, a parti- re da martedì 21 luglio.
Franco Esposito