La politica contemporanea, come quasi tutti sanno, non ha più memoria storica. Vive alla giornata, dominata dalla legge del consenso immediato, dalla radicale dipendenza dei sondaggi e che prescinde da qualsiasi progettualità di medio lungo/ periodo. È l’epoca del trasformismo da un lato e della improvvisazione e della casualità dall’altro. Del resto, ormai, abbiamo quasi la matematica certezza che ciò che si dice al mattino può essere tranquillamente smentito alla sera. E viceversa. Da qui deriva anche la caduta verticale della credibilità dei politici e, soprattutto, dei partiti. Una stagione, l’attuale, che assomiglia - dicono i sondaggisti - a quelle che abbiamo vissuto ai tempi di "tangentopoli" nel lontano ’92-’93 e all’ormai celebre "vaffaday" di grillina memoria del 2007. Certo, non è facile, né semplice, coltivare la memoria storica, politica e culturale in un contesto dominato dalla cosiddetta ideologia dell’anno zero. Ovvero da una concezione, tipica delle forze populiste e demagogiche contemporanee, che hanno nel loro nucleo originario la cifra di radere al suolo tutte le culture politiche che hanno preceduto la loro esperienza.
Da qui, per coerenza, la definizione di un partito che non è né di destra, né di sinistra né di centro ma è semplicemente "oltre". Di cosa nessuno sa, ma la realtà è semplicemente così. Piaccia o non piaccia. Ora, se si vuole ridare nobiltà alla politica, rilanciare il ruolo dei partiti politici democratici e costituzionali, restituire credibilità agli stessi politici e recuperare la valenza e il significato delle grandi tradizionali ideali del nostro paese che hanno accompagnato e guidato, con i loro valori e i loro principi, la crescita e il consolidamento della nostra democrazia, è indubbio che non si può prescindere dalla memoria storica. O meglio, dal recupero della memoria storica, politica e culturale. Che è cosa ben diversa dalla regressione nostalgica e dal perenne sguardo rivolto all’indietro. Ma una cosa è abbastanza certa. E cioè, non è possibile sconfiggere il populismo demagogico e anti politico, che purtroppo continua a correre negli umori popolari e nelle viscere del paese anche se è meno foraggiato, rispetto ad un passato recente, dai grandi orgasmi di informazione, se non si recupera il valore della memoria storica.
In discussione non c’è, come ovvio e scontato, il ritorno dei vecchi partiti o delle antiche organizzazioni politiche. Semmai, e molto più semplice mente, si tratta di non disperdere un patrimonio di cultura, di idee, di valori e di umanità sacrificandoli sull’altare di una maldestra e sempre più effimera modernità. Non è più tollerabile assistere ad una continua e reiterata rimozione di tutto ciò che è semplicemente riconducibile al passato. Dalla tradizione dei grandi partiti popolari al magistero degli statisti e dei leader principali, dalle singole culture di riferimento al retroterra etico, ideale e programmatico delle grandi culture politiche, riformiste e costituzionali. Del resto, l’inaridimento e la mediocrità dell’attuale classe dirigente politica, salvo rare eccezioni, è riconducibile proprio a questo elemento. E cioè, al fatto di aver azzerato l’intero passato travolgendo la memoria e relegandola, appunto, ad un fatto nostalgico e quindi privo di appeal e di reale cittadinanza politica.
E fin quando questo processo di profonda inversione di rotta non si innesca, avranno buon gioco le forze populiste e demagogiche ad affermarsi facendo leva su luoghi comuni e su slogan che sono sempre più appassiti ma che, comunque sia, continuano a mietere consensi sulle ali del qualunquismo, della improvvisazione politica e del pressapochismo culturale. Per dirla con Mino Martinazzoli, del "nulla della politica". Non c’è affatto da stupirsi, quindi, se in un contesto del genere prospera e si consolida la prassi del trasformismo. Perché, quando tramontano i riferimenti ideali e la coerenza politica diventa un puro optional, è del tutto evidente che la stessa politica si riduce esclusivamente e radicalmente ad una logica di puro potere e, di conseguenza, al mantenimento dello stesso. Come, puntualmente, avviene con i partiti populisti nella vita pubblica italiana.
Lungo questa sfida, quindi, si gioca - o meno - il ritorno ad una politica dignitosa, nobile e soprattutto credibile. Se, al contrario, si consolida la tesi dei populisti che il passato, la memoria e la tradizione sono puri orpelli da appendere definitivamente ed irreversibilmente al chiodo, non lamentiamoci se poi la credibilità della politica, dei politici e degli stessi partiti, nella considerazione dei cittadini, si riduce ad un misero 4%. Perché ogni risultato, di norma, è sempre figlio di una precisa azione e di una altrettanto precisa pianificazione.
GIORGIO MERLO