La pandemia sta accelerando il declino del Re dollaro, che per 50 anni è stato l'incontrastata valuta di riserva mondiale. E la faccenda sta diventando seria. Il dollar index, che misura il valore del biglietto verde rispetto alle altre sei principali valute internazionali, è in calo del 9% circa rispetto ai massimi di marzo ed è sulla buona strada per archiviare questo luglio come il suo mese peggiore dal 2011. Il biglietto verde è sceso di circa il 3% dall'inizio dell'anno, dopo essersi rafforzato negli ultimi due anni. Non c'è dubbio che l'indebolimento del dollaro dipenda dalla percezione che gli Stati Uniti riceveranno dalla pandemia di coronavirus, e soprattutto da questa seconda micidiale ondata di contagi, un colpo alla crescita superiore a quello delle altre economie mondiali. Lo dimostra l'impennata dell'euro, che ieri ha registrato il nuovo top da 22 mesi sul dollaro a quota 1,1781.
Il rally dell'euro sul biglietto verde è iniziato 10 giorni fa con l'annuncio dell'accordo europeo sul Recovery Fund ed è proseguito in modo deciso perché gli investitori percepiscono l'area euro come più sicura degli Stati Uniti. Lo stesso è accaduto all'oro, volato al record storico, e ai titoli tech, acquistati di riflesso all'indebolimento della divisa statunitense. "Il dollaro più debole sta quasi diventando una profezia che si autoavvera, con i guadagni per le attività a rischio che vedono il dollaro indebolirsi ulteriormente, alimentando a loro volta il rafforzamento di questi asset", ha commentato Michael Brown, analista senior presso la società di pagamenti Caxton. Un dollaro più debole rende le esportazioni statunitensi più competitive all'estero e aiuta le multinazionali statunitensi rendendo più economico per loro convertire i profitti nella loro valuta nazionale. In compenso un'ulteriore debolezza del dollaro è sicuramente uno sviluppo indesiderato per le economie dell'Europa e del Giappone, poiché le loro valute in aumento minacciano di pesare sulla crescita e sugli sforzi per far risalire l'inflazione.
Inoltre, un dollaro più debole potrebbe essere di scarso beneficio politico a breve termine per il presidente Donald Trump, che cerca un secondo mandato alle elezioni di novembre. L'inquilino della Casa Bianca ha sempre spinto per un indebolimento del dollaro a sostegno dell'export Usa, ma in questa fase, notano gli analisti, la debolezza del biglietto verde richiederebbe almeno un anno per alimentare il settore manifatturiero: "un periodo troppo lungo per avere un impatto favorevole per il presidente alle elezioni di novembre", dichiara Alan Ruskin, capo stratega internazionale di Deutsche Bank. Insomma, il dollaro debole è un problema per molti e non appare una faccenda di breve durata, visto che gli analisti di Goldman prevedono che la valuta Usa scenderà di un altro 5% nei prossimi 12 mesi.
ALESSANDRO GALIANI