Attacco finale del MoVimento 5 Stelle a Davide Casaleggio attraverso una legge che dovrebbe archiviare il potere "ereditario" che il figlio di Gianroberto si è portato a casa. Il senatore Emanuele Dessì, definendo Casaleggio un "principe ereditario senza qualità", che nel 2014, quando era candidato sindaco a Frascati, aveva chiesto di poter contattare gli iscritti del luogo per informarli delle sue iniziative.
«Ti faccio una concessione – gli rispose il giovane Casaleggio – te li faccio raggiungere, ma mando io le e mail». Nessuno, a parte i soci di Rousseau, ha accesso a quegli elenchi. Neanche il capo politico, i probiviri o il comitato di garanzia. È su questa anomalia che un gruppo ristretto di persone – non Dessì, né i più rumorosi tra i malpancisti – sta lavorando. Con un piano che sa di rivoluzione, se si pensa a cos’ha significato il quartier generale di via Morone, a Milano, nella vita dei 5 stelle: togliere a Casaleggio il suo potere per legge. Addirittura, con un emendamento che i più frettolosi avrebbero voluto inserire già nel decreto semplificazioni. «Basta sancire un principio – racconta un deputato – e cioè che la tutela della privacy dei dati forniti dagli iscritti ai partiti deve essere garantita dagli organi statutari». Non da un’associazione esterna che fornisce una piattaforma web.
Questo strapperebbe al figlio del cofondatore M5S il centro del suo potere. Smettere di alimentare Rousseau con gli stipendi degli eletti farebbe il resto. Per evitare la guerra, Casaleggio dovrebbe avere dalla sua i big del Movimento, com’è stato finora. Ma come non è più. A restare dalla sua parte, in nome della difesa delle origini, è Alessandro Di Battista. Gli è ancora fedele Max Bugani, che gli porta in dote l’appoggio di Virginia Raggi. Tra i parlamentari annovera la senatrice Barbara Floridia. Basta così, però. Perché negli ultimi mesi è riuscito a mettersi contro quasi tutti gli altri. Il capo politico pro tempore Vito Crimi lo blandisce ancora, ma non ha gradito la sua voglia di togliergli la reggenza prima del tempo.
Paola Taverna è convinta che il Movimento per sopravvivere debba rivedere molte delle sue rigidità e – in questo – è in linea con Di Maio. Roberto Fico non gli ha mai dato troppa importanza. Un’ex fedelissima come Roberta Lombardi si è allontanata per via della visione "prepolitica", da movimento d’opinione, del capo di Rousseau. Il ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli, un tempo suo amico, è stato oggetto di dichiarazioni velenose per aver espresso la sua idea di un Movimento che guarda al campo riformista, alternativo alle destre.
Al manager restano così i soci, Enrica Sabatini e Pietro Dettori, ma non i territori. Gli attivisti rimasti preferirebbero poter avere risorse da gestire in proprio, che dover correre a iscriversi agli eventi calati da Milano (il prossimo, lanciato per il 4 ottobre per decidere i nuovi cambiamenti da fare, ha creato altri malumori perché sembra voler sostituire quegli Stati generali che si stentano a organizzare). «Per la prima volta contro di lui vedo un fronte organizzato», dice il senatore M5S Primo Di Nicola, uno dei primi, in questa legislatura, a denunciare il deficit di democrazia del Movimento. Non mancano di attaccarlo, nelle assemblee alla Camera, esponenti di spicco come Riccardo Ricciardi o Francesco Silvestri, che per l’ultimo evento Rousseau di fine luglio – a Milano – non hanno voluto concedere neanche il supporto dello staff comunicazione, com’era un tempo.