Ad ogni inciucio ecco nascere un inciucio uguale e contrario. Parafrasando una vecchia legge della dinamica, la destra italiana torna a farsi viva dopo un periodo di silenzio imbarazzante.
Sugli scudi, e quindi in vetrina, sembrava esserci solo il centro sinistra con accordi tutti da tutti da verificare, ma comunque vivo. Adesso, l’opposizione si riaffaccia alla finestra per merito di Giorgia Meloni che continua a mietere consensi fino a minare la leadership di Matteo Salvini. Nasce un nuovo patto o, se volete, un nuovo controaltare: un impegno dei tre alleati che giurano di non andare mai al governo con altri parti- ti. Tutto questo ha un significato molto importante. Più volte nelle settimane scorse si era parlato di un aiuto che Forza Italia avrebbe potuto dare ad un eventuale Conte ter per rientrare nel giro. E magari raccapezzare qualche ministero o un sottosegretariato di peso. La svolta (se di svolta si vuol parlare) ha un padrino o, meglio, una madrina. Infatti Giorgia Meloni, mai e poi mai, ha fatto balenare l’idea di un appoggio al governo giallorosso o di qualsiasi altro colore con i connotati dell’attuale esecutivo.
Bisogna dare atto alla numero uno di Fratelli d’Italia di essere stata sempre coerente e di non aver tradito in nessun modo il mandato dei suoi elettori, considerati, come lei stessa li definisce, patrioti tout-court. Ecco perché la mossa della leader donna si può definire un contro inciucio che si oppone all’ultimo concordato fra Pd e 5Stelle. Una strategia che potrebbe andar buona per le prossime regionali. Ma anche e soprattutto per le politiche del 2022. Senza contare che l’unione della destra potrebbe valere anche per un eventuale nuovo esecutivo che potrebbe sorgere a settembre. Con un rimpasto invocato da più parti, in primo luogo da Renzi. Che non vede l’ora di rioccupare almeno una stanza di Palazzo Chigi. Salvini e Berlusconi seguono buoni buoni la Meloni. Ma solo perché in questo momento il centro destra deve correre ai ripari se vuole contare in futuro qualcosa. O, altrimenti, sparire o vivacchiare alla "bell’e meglio". Su due cardini si basa l’avvenire: il presidenzialismo, ovvero, sull’elezione diretta del Capo dello Stato (alla Macron per intenderci) e sull’autonomia che molti definiscono in maniera perfida sovranismo. Che cosa potrà succedere in avvenire? Nulla di eclatante, se non il risorgere di un netto dualismo fatto da maggioranza e opposizione, ovvero da un centro sinistra contro un centro destra o viceversa a seconda del voto degli elettori. In questo ginepraio politico caratterizzato da colpi e contraccolpi non si debbono dimenticare gli enormi problemi che gravano sul Paese. Mario Draghi, intervenendo al meeting di Comunione e Liberazione, ha lanciato il suo grido di allarme. Gli aiuti che potrebbero arrivare dall’Europa non serviranno a nulla se non seguiranno un preciso obiettivo. Quello dei nostri giovani a cui si deve assi- curare un futuro diverso. Molti commentatori l’hanno definito un discorso contro le scelte del governo e del suo presidente Giuseppe Conte. Ma Draghi non ha nessuna intenzione di farsi travolgere dalla politica anche se una parte della maggioranza lo vedrebbe volentieri sulla poltrona che oggi occupa l’avvocato del popolo. Si vedrà. Intanto non si dimentichino le grane di oggi, soprattutto quelle che riguardano la scuola: banchi, classi e insegnanti mettono in crisi la ripresa delle lezioni prevista per il 14 settembre. Sarà così? Chiissà? Forse? Può darsi. Ma Conte tranquillizza i milioni di famiglie che attendono una risposta: "Le scuole riapriranno senza ulteriori ritardi". Facciamo a fidarci.
Bruno Tucci