Ogni giorno si sa qualcosa di più. Attraverso le rivelazioni più o meno quotidiane vengono allargate le conoscenze. Lo scandalo assume così proporzioni sempre più vaste. Questo è un caso tipico. Il business dei camici, un affaire, uno sporco affare da quasi tre milioni di euro, non giunto completamente. Protagonista e indagato Andrea Dini, cognato del governatore della Lombardia, il leghista Attilio Fontana. I giorni cruciali sono quelli del lockdown. Il 16 aprile la data: la società di Dini incassa dalla Regione Lombardia un contratto per 75mila camici, per complessivi 513mila euro. Esplode la polemica, Fontana si ritrova nell’occhio del ciclone, e chiede al cognato di rinunciare alla vendita dei camici. La commessa viene trasformata in donazione. Ma Dini pensa bene di non consegnare gli ultimi 15mila camici. La reazione del governatore? Fontana ordina un bonifico di 250mila euro dalla Svizzera per risarcire il cognato. La manovra non riesce, non produce l’effetto sperato: la banca blocca la richiesta di bonifico. In seguito viene appurato che la magagna non si limitava al razzolamento di 513mila euro; tre milioni era il vero obiettivo che Dini contava di realizzare.
Proprietario dell’azienda di abbigliamento Paul&Shark e cognato di Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, puntava infatti ad altre commesse milionarie. Dall’indagine dei pm Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scales emerge come l’imprenditore - indagato per turbativa d’asta con il direttore Regione, Aria spa, Filippo Buongiovanni e con Fontana stesso per frode in pubbliche forniture – aveva pianificato ulteriori affari. Quali e di quale entità? Due milioni e 700mila euro con la stessa Aria e col Pio Albergo Trivulzio. Come dire, la manifestazione di esplicita volontà di trasformare l’emergenza sanitaria in Lombardia in una nuova poderosa occasione di business. Ovviamente a beneficio della propria azienda spossata da una crisi finanziaria legata non solo al blocco produttivo causato dal lockdown. Nel corso dell’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli è inoltre emerso un secondo accordo a cui puntava Dini. Il Pio Albergo Trivulzio la controparte e la previsione di un maxi incasso pari a un milione e mezzo di euro. Ovvero, due procedure d’urgenza con cui l’Azienda di servizi "Istituti milanesi Martinitt e Stelline e Pio Albergo Trivulzio ricerca una fornitura per complessivi 230mila euro e seicento camici".
Le offerte selezionate sono quattro, ma Dini è arciconvinto di vincere. Anche se la candidatura della sua azienda, la Dama, è registrata alle 12:04 del 12 maggio, quattro minuti dopo la scadenza stabilita nel bando dell’Ansp. Ma il 3 giugno la ricerca viene interrotta, con una determina di revoca. Nel documento si legge "La Protezione civile Lombardia ha proceduto a garantire il fabbisogno urgente di camici". Andrea Dini, l’imprenditore, aveva rinunciato il 20 maggio, come da richiesta del presidente e cognato Attilio Fontana, allarmato dalla polemica esplosa con evidente virulenza. Il governatore si attiva per risarcire il cognato, penalizzato dalla trasformazione della vendita di camici in donazione. Parte il suo ordine di bonifico urgente da 250mila euro attraverso l’Unione fiduciaria di Milano, dai conti svizzeri dove Fontana custodisce 5 milioni in chiaro. Il deposito è spalmato da due trust alle Bahamas. Il bonifico viene bloccato dall’antiriclaggio della stessa fiduciaria. È finito in una Sos – Segnalazione operazione sospetta – della Banca d’Italia alla procura.
Un intreccio di pasticci. La trasformazione del contratto in donazione sopravviene nel momento in cui la trasmissione Report chiede conto a Dini "dell’affare in conflitti d’interessi". La nuova fornitura riguarda invece altri 200mila pezzi che Dama (la moglie di Fontana, Roberta Dini, è azionista al dieci per cento) avrebbe garantito alla Regione Lombardia nei mesi successivi. Ma il progetto non trova sfogo adeguato, non va in porto. Nonostante l’ok informale del direttore generale della sezione acquisti della Regione, Filippo Buongiovanni. Dini puntava alto, molto in alto. Ma il progetto non va in porto, non decolla. Quale l’intoppo o gli intoppi? Uno, nessuno, centomila. Quelli normali, alimentati dai sospetti quando gli avversari politici e i magistrati hanno messo il naso nel momento sospetto in cui "la vendita è stata trasformata in donazione". La grande bugia impiegata come rappezzo: non poteva funzionare. E non ha funzionato: indagati il governatore della Lombardia e suo cognato. Malgrado il business a tre milioni sia finito gambe all’aria.
Franco Esposito