Caro Direttore, ancora una volta si consuma una campagna referendaria sulla materia costituzionale all’insegna dell’opportunismo e della demagogia. Sono due elementi che da un quarto di secolo caratterizzano la nostra vita politica e istituzionale e che, al di là dell’esito del Referendum che mi auguro possa sovvertire i pronostici, anche in questo scorcio di legislatura concorrono alla delegittimazione della politica a cui la stessa, purtroppo, presta il fianco.
Ma di cosa stupirsi? Le scelte e i comportamenti di questi anni sono inverosimilmente schizofrenici e funzionali a quanti intendono proseguire nella sistematica opera di destrutturazione democratica iniziata nel biennio ’92 – ’94. Infatti, se non può più stupire la retorica "anti-casta" brandita a mo’ di clava per sostenere il taglio degli eletti, come non rimanere basiti dal mutare delle posizioni di molti parlamentari innanzi alla de-forma su cui saranno chiamati a pronunciarsi i cittadini?
La stragrande maggioranza di deputati e senatori, compresi molti colleghi pentastellati, sostengono oggi in forme più o meno pubbliche e appariscenti, le ragioni del No. Ma mi chiedo: dov’era questa maggioranza, dov’erano i dubbi e le contrarietà allorquando il Parlamento, solo alcuni mesi fa, ha dato il via libera al testo? Ricordo che siamo stati solo una sparuta minoranza, additata e guardata in malo modo, a votare in entrambe le letture contro la follia grillina, rimasta in piedi con il mutare delle maggioranze e giustificata - si pensi al Partito Democratico – dagli opportunismi del momento e dalla ragion di governo.
Purtroppo le maggioranze passano, le alleanze e gli equilibri cambiano, ma il testo costituzionale è destinato a durare nel tempo. Pensiamo alle storture introdotte nell’ordinamento con la riforma del Titolo V. Quanto hanno pesato, finanche nella stessa emergenza Covid, le debolezze e le contraddizioni del nostro regionalismo? Servono idee e una visione di futuro se si vuole stroncare l’orda populista e demagogica che travolge tutto e accompagna il Paese nelle retrovie di ogni classifica economica, sociale e, aggiungo, democratica.
Dal ’93, quando il Parlamento votò sotto ricatto la modifica dell’articolo 68 sull’immunità, è stato tutto un crescendo rossiniano. Allora, le pressioni esercitate dalla magistratura e sostenute dai giornaloni e da un certo mondo economico-finanziario, aprirono uno squarcio che non si è più richiuso e una deriva che nessuno ha oggi la volontà, ancor prima che la forza, di contrastare.
Con l’imminente referendum "contro la casta", conclusione ideale dell’offensiva iniziata due lustri or sono sempre sugli stessi giornaloni e sempre con il compiacimento dello stesso mondo economico-finanziario, prosegue la lunga stagione dell’anti-politica. Così, distrutta la politica, tocca oggi alle istituzioni. Ma quanto potrà durare questo stato comatoso della nostra democrazia? A quali ulteriori rischi e derive ci espone? Le risposte non sono semplici. Specie se la politica e il parlamento continuano nei loro harakiri. Reagire quando i buoi sono scappati dalla stalla è difficile se non inutile.
Stefania Craxi
Senatrice Forza Italia