È stata velocissima Elisabetta Serafin, segretario generale del Senato. Appena tre giorni dopo l’esecutività della sentenza che abolisce il taglio ai vitalizi degli ex senatori, l′8 ottobre ha proposto appello per bloccare l’esborso dei 33 milioni che ora il Senato dovrebbe restituire. A tanto ammontano infatti gli arretrati che i circa 700 ‘pensionati’ hanno accumulato nei quasi due anni dopo il taglio dell’ottobre 2018. La Serafin contesta le motivazioni del ripristino. Afferma, citando il presidente grillino della Camera Roberto Fico, che i tagli sono stati effettuati per rispondere alla "domanda sempre più forte di equità sociale" proveniente da una "collettività angosciata dal sistema previdenziale". I 33 milioni comunque sono già stati accantonati nel bilancio del Senato, segnale dell’insicurezza degli stessi uffici rispetto ai tagli. La Serafin addossa all’ex presidente Inps Tito Boeri la responsabilità del calcolo delle decurtazioni, che in alcuni casi raggiungono l′80% e per questo sono state considerate inaccettabili dalla Commissione contenziosa di primo grado. Intanto, il 20 ottobre la Corte costituzionale si pronuncerà sui tagli a tutte le pensioni d’oro della finanziaria 2018. Sono tagli provvisori (quinquennali) dopo che la Corte aveva bocciato quelli del governo Monti nel 2011: 5% sulle pensioni oltre i 90mila euro annui lordi, 10% oltre i 150mila e 15% oltre i 250mila. Il problema è sempre lo stesso: per rispettare la certezza del diritto, le misure non possono essere retroattive. Al massimo, dice la Corte, possono essere praticati tagli temporanei e "ragionevoli" per motivi di solidarietà in situazioni eccezionali. E senza discriminazioni. Monti nel 2012 aveva anche abolito i vitalizi dei parlamentari per il futuro, parificandone l’ammontare alle pensioni normali, calcolate con il metodo contributivo. Ma resta il nodo dei vitalizi del passato, considerati diritti acquisiti. E delle discriminazioni.
Se gli stessi tagli imposti ai parlamentari pensionati fossero stati praticati anche agli stipendi dei parlamentari in carica, probabilmente la sentenza sarebbe stata diversa.