"Nondimanco , perchè il nostro libero arbitrio non sia spento, giudico potere esser vero, che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che ancora ella ne lasci governare l’altra metà, o poco meno, a noi. Ed assomiglio quella ad fiume rovinoso, che quando ei si adira, allaga i piani, rovina gli arbori e gli edifici, lieva da questa parte terreno, ponendolo a quell’altra; ciascuno gli fugge davanti, ognuno cede al suo furore, senza potervi ostare; e benchè sia così fatto, non resta però che gli uomini, quando sono tempi quieti, non vi possino fare provvedimenti e con ripari, e con argini, immodochè crescendo poi, o egli andrebbe per un canale, o l’impeto suo non sarebbe sì licenzioso, nè sì dannoso".
Cosa ci vuole dire Niccolò Machiavelli nel capitolo XXV de Il Principe, dove il tema della fortuna è trattato ampiamente? E cosa c’entra questo passaggio raffinato del secondo cancelliere della Repubblica Fiorentina (1498-1512) con la situazione politica italiana e in particolare con il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte? La risposta a queste due domande è semplice e di grande peso per l’attualità italiana perché da un lato il Machiavelli ci ricorda che la fortuna è sì essenziale per governare, ma occorre poi agire nei tempi di " buona" per consolidare i risultati e dall’altro perché non c’è dubbio che in posizione "fortunata" si trova proprio il premier.
Conte infatti diventa capo del governo poco più di due anni fa, ma prende possesso del suo ufficio a Palazzo Chigi in condizione assai diversa dall’attuale: guida un esecutivo i cui "azionisti" di riferimento sono Di Maio e Salvini in baldanzosa posizione di suoi vice (forti del recente successo elettorale), un governo di cui lui ha la direzione ma con limitata, anzi limitatissima, autonomia. La situazione muta però in suo favore l’anno successivo, con la fine dell’esperienza giallo-verde e la nascita dell’esecutivo PD-M5S (più Renzi e Leu) e ancor più gli sorride (politicamente parlando, sia chiaro) con la drammatica emergenza Covid-19, che fa di Palazzo Chigi il "centro direzionale" della nazione come mai avvenuto in tempi recenti.
Oggi quindi (in particolare dopo le recenti elezioni regionali) il premier è al centro della scena, punto di equilibrio (più sopportato che amato, ma tant’è) tra tutte le forze politiche della maggioranza ed anche ormai riconosciuto interlocutore a livello internazionale, tema non da poco in presenza di un’opposizione di destra forte nelle urne (governa 14 regioni su 20) ma debole per credibilità e compattezza non appena si arriva a Bruxelles o Washington. Se poi a tutto ciò aggiungiamo il tema più importante di tutti, cioè gli effetti di finanza pubblica della pandemia, ecco che il quadro si completa, consentendoci così di giungere al punto centrale del ragionamento: per ragioni assolutamente imprevedibili (e quindi dipendenti dalla fortuna) il premier è oggi fortissimo e per giunta dotato di risorse economiche come nessuno nella storia recente della Repubblica, poiché Craxi, Berlusconi, Renzi (tanto per citare premier longevi e di spiccata personalità) e tutti gli altri hanno sempre dovuto fare i conti con ristrettezze di bilancio oggi sostanzialmente scomparse (almeno nel breve periodo).
A questo punto però non resta che guardare al futuro, domandandoci che cosa intende farne il premier di tutto questo "fortunato" potere. Vuole usarlo con certosina furbizia "tirando a campare" il più a lungo possibile o vuole imprimere una poderosa svolta riformista all’azione di governo? Vuole cioè diventare il nuovo Andreotti (campione mondiale dell’immobilismo sapiente e prudente, gestore supremo dello "status quo" e avversario irriducibile di ogni vasto programma di riforma) o vuole provare a cavalcare la tigre del cambiamento, quella che fu di De Gasperi, Moro e Fanfani in tempi più lontani e di Craxi e Renzi in anni a noi più vicini? Certo, la prima strada probabilmente conviene di più a lui, ma senza ombra di dubbio la seconda conviene a noi.
E siccome gli spazi di manovra sui conti pubblici dei prossimi anni sono occasione imperdibile e irripetibile mi sento di affermare che sarebbe un delitto scegliere la strada "andreottiana". Impostazione quest’ultima che però sembra prevalere se guardiamo ad alcune scelte di queste settimane. Vedo infatti una continuità preoccupante sul dossier Alitalia, dove di fatto si è scelta la strada di mettere denaro pubblico ancora una volta ma senza un progetto innovativo e noto una impasse gravissima sui dossier Aspi e Ilva, dove alle montagne di dichiarazioni pubbliche seguono fatti al rallentatore. All’Italia serve una scossa progettuale, capace di mettere allo stesso tavolo le forze di maggioranza e quelle di opposizione, Bonomi e Landini, l’Europa e gli altri potenziali investitori, la magistratura e l’ordine degli avvocati (il tema Giustizia è centrale in tutto ciò). Allo stato solo Conte può tentare questa operazione (possibilmente dando vita ad un nuovo governo), però deve innanzitutto volerlo.
ROBERTO ARDITTI