"Alla luce degli ultimi sviluppi, l'Ungheria non può fornire l'unanimità richiesta per il pacchetto adottato a luglio". Firmato Viktor Orban. Con una lettera inviata alla Commissione europea e alla presidenza tedesca dell'Ue, il premier ungherese minaccia il veto sul recovery fund. Insieme alla Polonia, Orban non condivide l'intesa raggiunta giovedì scorso con il Parlamento europeo sullo stato di diritto. La sconfitta alle presidenziali Usa di Donald Trump, maggiore punto di riferimento internazionale dei sovranismi europei, per ora non produce effetti visibili nel vecchio continente.
Le relazioni tra Bruxelles e i governi più nazionalisti dell'Unione restano tese. E il recovery fund, l'oggetto più desiderato dai leader alle prese con la pandemia in tutti gli Stati membri, resta ancora bloccato sui veti dell'est Europa.
L'intesa raggiunta giovedì scorso permette all'Ue di bloccare i finanziamenti ai governi che non rispettano la legge, che minano l'indipendenza della magistratura, che violano i valori dell'Ue come la libertà, la democrazia, i diritti delle minoranze. Niente fondi anche per chi li usa in modo improprio, per corruzione o frode. Il meccanismo può essere attivato in caso di violazione dimostrata, ma anche quando ne esista soltanto "un serio rischio", in modo da prevenire che "i fondi europei possano finanziare azioni in conflitto con i valori Ue", recita l'accordo.
Nel caso venga segnalato un rischio di violazione, le istituzioni europee avranno dai 7 ai 9 mesi di tempo per valutare. Dopo aver accertato la violazione, la Commissione europea potrà attivare il meccanismo di condizionalità nei confronti del governo finito sotto accusa. Decide il Consiglio europeo, cioè gli Stati membri, a maggioranza qualificata entro un mese.
Ungheria e Polonia non si sono fatte attendere nella protesta. Già giovedì scorso, il governo di Budapest ha reagito definendo l'intesa un "ricatto inaccettabile". Un "ricatto politico e ideologico inaccettabile", rincara il ministro polacco della Giustizia Janusz Kowalski, "veto o morte è lo slogan-simbolo della difesa della sovranità polacca contro le ambizioni antidemocratiche e ideologiche degli eurocrati".
Ieri é arrivata la lettera di Orban, che ufficializza la minaccia di veto. Significa che, anche se presidenza tedesca e Parlamento europeo raggiungeranno un accordo totale sul fondo (oggi, un ennesimo round negoziale sull'altra questione: il bilancio pluriennale dell'Ue), il recovery fund non potrà ottenere l'unanimità tra gli Stati membri. Il governo di Budapest e quello di Varsavia erano soddisfatti dell'intesa raggiunta al Consiglio europeo di luglio, ma non accettano le revisioni apportate d'intesa con l'Europarlamento. E senza unanimità in Consiglio europeo, il recovery fund non può andare avanti.
Non solo. Per diventare operativo, il fondo di ripresa va ratificato da tutti gli Stati membri, nella parte relativa all'introduzione delle 'risorse proprie': la digital tax per i giganti del web, le tasse sui prodotti di industrie inquinanti esportati nell'Ue, sulle transazioni finanziarie. Risorse che servono per garantire il rimborso del debito comune europeo da recovery fund.
I tempi si allungano. Il recovery fund non rispetterà l'appuntamento col nastro di partenza a gennaio, ormai è chiaro. 'Orfani' di Trump, i sovranisti dell'est hanno ancora più interesse a farsi sentire per dimostrare di essere ancora vivi, riuscendo a bloccare tutta l'Ue. Incredibilmente e ancora oggi.