La Dingo Fence australiana - la "recinzione anti-dingo" - è descritta come la "struttura artificiale" più lunga del mondo, ma dirlo è un'ingiustizia verso le grandi autostrade e oleodotti. È piuttosto la maggiore "recinzione" esistente. Alta due metri e lunga 5.614 chilometri (vedi nella foto) supera di molto ciò che resta della Grande Muraglia cinese, nominalmente della lunghezza di oltre 21mila km, ma di cui nei fatti solo alcune centinaia di chilometri esistono ancora.
Ad ogni modo, i "dingo" che la struttura dovrebbe contenere sono dei cani ferali, forse 50mila sul territorio nazionale. Sono stati portati dall'uomo nel continente australe dal sudest asiatico almeno 4mila anni fa. Da allora prosperano mangiando tutto ciò che trovano: negli ultimi secoli, specialmente le pecore dei pastori australiani.
Osservando come i dingo vivessero perlopiù nel nord del continente mentre la pastorizia si concentrava nel sudest, nel tardo Ottocento il Governo del paese avviò la costruzione della fence per proteggere l'importantissima industria pecoraia dai famelici canidi in arrivo dai deserti interni.
Ha funzionato, e da allora sia pecore che dingo continuano a proliferare in Australia, ognuno a casa propria. I dingo - che non sono affatto a rischio d'estinzione - non sono simpatici per via di una certa tendenza a sbranare chi e cosa gli capiti a tiro.
Ora però cominciano a suscitare tenerezza tra quelli che non ci devono convivere ed esiste un movimento - considerevole, ma non di massa -che vorrebbe liberare le povere bestie dal loro lungo esilio, abbattendo la recinzione. È facile immaginare che i pastori non ne siano entusiasti, ma sono dei rozzi campagnoli - pochini per giunta - mentre gli animalisti sono "evoluta" gente di città.
La strategia "dingoista" consiste nel tentativo di cambiare la classificazione tassonomica dell'animale. Canis dingo, il nome scientifico della specie dal 1793, dovrebbe ora diventare Canis familiaris - come i chihuahua, i poodle e i rottweiler. Non esiste legislazione che autorizzerebbe lo Stato a confinare i cani di casa, normali, nei deserti del nord...
C'è anche un ragionamento ecologico. Le volpi e i gatti sono le prede di preferenza dei dingo. "Liberando" i canidi dunque, ci si disfarebbe di altri due predatori di animaletti ancora più piccoli e bisognosi d'essere protetti.
James Hansen