Ufficialmente era solo un imprenditore informatico, patron della Golem Volley di Palmi. In realtà, sospettano i magistrati della procura antimafia di Reggio Calabria che lo hanno iscritto sul registro degli indagati come riservato dei clan delegato al riciclaggio di soldi sporchi, Roberto Recordare era una delle menti finanziarie che hanno permesso ai clan di lavare miliardi. Le cifre sono da capogiro, pesano quanto le manovre finanziarie annuali dei Paesi di metà dell’Ue messe insieme. E sono soldi «riciclati nel tempo, presumibilmente provento di traffici illeciti quali il traffico di armi e stupefacenti, senza escludere i proventi di estorsioni, usura e altre condotte delittuose». Soldi della ‘ndrangheta, degli Alvaro che in Domenico Laurendi avevano il proprio terminale e dei Gagliostro di Palmi, ma anche di imprenditori di mafia catanesi e dei faccendieri dei clan di Casal di Principe. Un cartello di clan in grado di terremotare l’economia mondiale.
L'involontaria confessione di Recordare - Recordare lo sa e lo dice. Con i due imprenditori e faccendieri catanesi con cui spesso di interfaccia e collabora, Felice Naselli e Giovanni D’Urso, ne parla chiaramente. Si tratta di fondi per 500miliardi. «Considera che noi stiamo spostando cose dove i servizi segreti, i co, cioè stiamo sconquassando il mondo e l'equilibrio mondiale». Una manovra ancora in atto quando gli investigatori lo ascoltano. In quel periodo, Recordare e soci- spiegano gli investigatori in un’informativa depositata agli atti dell’inchiesta Euphemos - «stava cercando di spostare in paesi extraeuropei e che, a loro dire, non subissero l'influenza degli americani, una ingentissima somma di denaro ( per quanto emerso in numerose conversazioni intercettate, gli indagati hanno parlato di una somma che superava i 136 miliardi di euro ) che era depositata in diversi istituti bancari di vari paesi, anche Europei, ma, soprattutto in paesi da ''black list" che, comunque, non potevano risultare, ad eventuali controlli».
L'interesse dei clan della Piana - La prima tranche era di 36miliardi, da far sparire su conti speciali, irrintracciabili perché persino privi di iban, ma accessibili e monetizzabili al portatore delle speciali chiavi elettroniche che ad essi erano legate. Operazioni in cui Domenico Laurendi, mandatario elettorale dei clan di Sant’Eufemia «aveva quantomeno un interesse» mentre «un’altra quota parte» si legge nelle carte «ce l'aveva anche la famiglia Gagliostro di Palmi e, quindi, le consorterie confederate con quest'ultima». È proprio seguendo le tracce dei clan della Piana che gli inquirenti arrivano a Recordare, lambito ma non travolto dall’operazione Alchemia.
«Se ogni tanto ne vede saltare qualcuno in aria…» - Nella montagna di conversazioni intercettate finite agli atti di quel procedimento il nome di Recordare appare spesso. Gli investigatori lo sentono chiacchierare con Carmelo Gagliostro dei timori che qualcuno degli arrestati potesse collaborare con la giustizia, inveire contro i magistrati che vanno troppo a fondo e che «non si spaventano di niente se ogni tanto ne vede saltare qualcuno in aria, questa non faceva niente» con riferimento esplicito, ipotizzano gli investigatori alla pm Giulia Pantano che coordinava l’inchiesta Alchemia, e progettare un tentativo di “aggiustare” in Cassazione l’appello contro l’ordinanza di custodia cautelare presentato dal fratello di Gagliostro, Candeloro. Ma la medesima confidenza, il faccendiere mostra di averla con Orlando Sofio, all’epoca sospettato di essere uomo del clan Gallace.
Tracce troppo importanti perché venissero fatte cadere e su cui la Dda ha evidentemente continuato a lavorare.
Quel fondo da 100 miliardi finito nel cestino - Ad emergere è stato il ritratto di un professionista, tanto scaltro quanto pericoloso, perché in grado di far sparire miliardi senza lasciare traccia, con agganci di livello nei Paesi di mezzo mondo da governo e Banca centrale della Malesia a professionisti del riciclaggio internazionale. Parlano tutti lo stesso linguaggio, usano tutti gli stessi metodi. Sanno di giocare con il fuoco ma sono certi di sfangarla sempre, come D’Urso destinatario di un sequestro ma tanto certo di rientrare in possesso dei suoi beni da promettere a Recordare di andarlo a prendere con la sua Ferrari fresca di rimozione dei sigilli. Anche il faccendiere di Palmi sa di camminare sul filo. E intuisce che gli investigatori gli stanno con il fiato sul collo. Per questo – racconta – all’aeroporto di Fiumicino decide di disfarsi in fretta e furia di chiavi e documentazione relativi ad un fondo da 100 miliardi. «“Ho detto ‘va, dopo che mi lasciano torno e la prendo’. Se la prendevano diventava… perché avevo il bond da trentasei miliardi» racconta al telefono. Ma non gli importa. Si sente sicuro di quella rete di conti irrintracciabili che ha costruito e che utilizza anche tramite una serie di identità false che ha a disposizione. A beneficiarne un cartello di clan calabresi, siciliani e campani. Ma questi – sospettano gli investigatori – potrebbero essere solo alcuni dei suoi clienti.