Gente d'Italia

È morto Tabaré Vázquez, l’uomo che portò la sinistra al governo in Uruguay

Se ci fosse una persona in grado di riassumere la storia del Frente Amplio e della sinistra in Uruguay, questa sarebbe inevitabilmente Tabaré Vázquez che è scomparso nella notte di sabato a 80 anni dopo una lunga malattia dovuta a un cancro ai polmoni.

Oncologo di professione, governante pragmatico e decisionale, Vázquez è stato una delle personalità più influenti degli ultimi 30 anni in Uruguay avendo segnato il corso delle stagioni politiche con i suoi cambiamenti e le svolte epocali. Un lungo cammino iniziato nel 1989 quando un medico “outsider” fu scelto per conquistare la Intendencia di Montevideo, la prima vera prova di potere del Frente Amplio, la coalizione di centro-sinistra nata nel 1971 e poi affossata dalla violenza della dittatura. Vázquez era fortemente legato al suo “barrio” La Teja, una delle periferie dimenticate della capitale, dove era nato nel 1940 all’interno di una famiglia molto umile e dove si fece conoscere nel mondo del calcio come presidente del Progreso, una piccola squadra arrivata a vincere il titolo nazionale in quel magico 1989. Dopo il trionfo del governo dipartimentale più ambito del paese, la strada verso la presidenza era ormai segnata e arrivò nel 2004 dopo le due sconfitte maturate nel ‘94 e ‘99 che prepararono il terreno facendo crescere il consenso per il Frente.

Con Tabaré Vázquez presidente l’Uruguay rompeva così il bipartitismo tradizionale, uno dei più antichi al mondo segnato per oltre un secolo dalla spartizione del potere tra il Partido Colorado (il più delle volte) e dal Partido Nacional (in minoranza).

Il primo mandato nel periodo 2005-2010 fu pieno di riforme importanti in un paese in crescita che si rialzava dalla gravissima crisi economica del 2002. Ma oltre alle politiche sociali di assistenza verso i più bisognosi, in questo periodo si ricordano il Plan Ceibal (un computer portatile ad ogni alunno delle scuole elementari), la campagna contro il fumo che scatenò l’ira della Philip Morris uscita sconfitta nel processo internazionale, il conflitto con l’Argentina per la pianta di cellulosa Upm di Fray Bentos e il veto alla legge sull’aborto che lo portò ad abbandonare il Partito Socialista. Nel 2006, tra l’altro, si decise di abolire l’obbligatorietà dell’insegnamento dell’italiano nei licei dopo oltre 60 anni in una scelta che comunque sarebbe stata inesorabile con il trascorso degli anni e il progressivo declino dell’Italia.

 

Molto diverso fu invece il secondo mandato (2015-2020) arrivato dopo quello di “Pepe” Mujica, agli antipodi nello stile e nella comunicazione con una presidenza vissuta sotto i riflettori internazionali in modo diametralmente opposto. Senza l’entusiasmo iniziale che accompagnò la prima volta e senza la forte crescita economica dei precedenti anni, il secondo mandato è stato molto più sobrio e anche molto più discusso come dimostra il caso più eclatante, quello del vicepresidente Raúl Sendic costretto alle dimissioni per una serie di scandali.

“Vorrei essere ricordato come un presidente serio e responsabile che ha fatto il massimo sforzo per mantenere gli impegni che avevamo promesso. Mi sarebbe piaciuto ridurre un po’ di più la povertà estrema”. Così parlava pochi giorni fa l’ex presidente nell’ultima intervista televisiva ripercorrendo le tappe più importanti della sua vita, dalla medicina al calcio e alla politica fino alla famiglia e alla malattia cosciente di trovarsi nella “tappa finale”.

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