"La legge elettorale è su un binario morto. Da un lato c'è Renzi: con il proporzionale puro non gli basterebbe nemmeno la soglia del 3%. Se si siede a quel tavolo, i suoi cominceranno a guardarsi intorno e perderà ogni leva sul resto della legislatura. Dall'altro lato c'è Salvini: è la forza egemone di un centrodestra vincente nei sondaggi, perché dovrebbe cambiare lo status quo?". La fotografia è di un parlamentare molto esperto di sistemi elettorali. Ma è condivisa. Altro che l'appello di Nicola Zingaretti che nei giorni del referendum aveva avvertito: "Pericoloso il taglio dei parlamentari senza legge elettorale". Al giro di boa di metà legislatura, il famoso tavolo delle riforme che dovrebbe fungere da contrappeso per il (già avvenuto) taglio di un terzo dei parlamentari, è pura accademia.
La verità sussurrata in Parlamento è che non esiste – neanche a cercarla col lanternino - una maggioranza in grado di cancellare il Rosatellum, l'attuale legge elettorale voluta proprio dal Pd renziano. E, dopo il danno la beffa: se la compagine giallorossa innescasse la crisi e si finisse alle urne, consegnerebbe il Paese dritto nelle mani del centrodestra. Affidando la speranza a un'eventualità persino più beffarda: una Lista Conte, accreditata di un 10-15% di consensi ma più realisticamente quotata intorno al 5-6%. Abbastanza, comunque, per riaprire i giochi. Soprattutto al Sud.
La simulazione della commissione Affari Costituzionali - A far suonare l'allarme è una simulazione di voto effettuata un paio di settimane fa dall'ufficio studi della commissione Affari Costituzionali di Montecitorio, che spalma i risultati delle elezioni 2018 sui nuovi collegi, appena ridisegnati sulla base del referendum costituzionale. Alla Camera i seggi passano da 630 a 400, di cui nove spettano agli italiani all'estero. Dei residui 391, 170 finirebbero al centrodestra (nel 2018 furono 265), 140 al M5S (prima 227), 68 al centrosinistra (prima 122), 9 a Leu (che ne aveva 14). Una riduzione su base nazionale che non toccherebbe gli equilibri (a differenza del Senato, dove il riparto su base regionale penalizzerà i "piccoli") ma va parametrata agli attuali rapporti di forza. Molto diversi da due anni fa: i Cinquestelle sono tracollati dal 32,7% al 14,3%; il Pd è salito dal 18,7 al 20,5%; la Lega è cresciuta dal 17,4 al 23,4%; la formazione di Giorgia Meloni dal 4,3% è quadruplicata al 16,7%; mentre Fi è dimezzata dal 14 al 6,3%. In linea teorica (siamo lontani dalla normale data del voto) Lega, FdI e Fi si situano intorno al 47-50% mentre l'asse giallorosso (con la sinistra di Leu e Articolo Uno, intorno al 3%) sta al 40-42%, al netto di accordi con Italia viva e Azione di Carlo Calenda. Con un primo timore che serpeggia nella squadra Pd-M5S: grazie al premio di maggioranza, il centrodestra è a un soffio da quel 66%, i fatidici due terzi dei parlamentari che consentono di cambiare la Costituzione.
L'en plein del centrodestra sui collegi uninominali - Ma dove la simulazione si rivela più interessante è sul versante dei collegi (che assegnano il 37% dei seggi): sempre sulla base dei risultati 2018, 74 andrebbero al centrodestra, 15 al centrosinistra, 57 al M5S. Con la squadra di Salvini, Berlusconi e Meloni che fa il pieno al Nord (8 seggi in Piemonte, 23 in Lombardia, 12 in Veneto, 5 in Emilia, 4 in Toscana) e i grillini che sbancano nel Mezzogiorno (13 in Campania, 10 in Puglia, 12 in Sicilia, 6 nel Lazio) e il Pd che tiene soltanto in Emilia (6 collegi), Toscana (5), Lazio (1). Ebbene, aggiornando le percentuali lo scenario cambia radicalmente. Gli sherpa dei partiti hanno calcolato l'en plein del centrodestra sui 146 collegi uninominali di Montecitorio. Anche perché aumentando la dimensione dei collegi si avrebbe l'effetto di "omogeneizzarli" e spingerli verso il risultato politico. In soldoni: dietro il vento che soffia.
Tutto sulla carta, certo. Ma è una prospettiva che non si può ignorare. A chiedere di effettuare la simulazione è stato Federico Fornaro, capogruppo di Leu in commissione: "Volevo capire gli effetti della nuova situazione sul flipper". Ovvero, quel meccanismo per cui la legge, dopo aver assegnato i seggi su base nazionale prima e circoscrizionale poi, procede a una compensazione random tra partiti "eccendentari" e deficitari". Alla fine i conti tornano, ma pescando quasi a caso alcuni eletti. "Mi sembra confermata la mia preoccupazione di maggiore entropia del sistema – osserva Fornaro – La minore certezza degli eletti penalizza soprattutto i partiti più piccoli, ma andrebbe a toccare anche il secondo seggio dei più grandi".
La speranza della Lista Conte - Al momento i giochi sono fermi. Verifica e rimpasto hanno divorato le riforme. A riflettori spenti, però, i pallottolieri girano. E ognuno ha le proprie ansie. Forza Italia teme la marginalizzazione nelle liste. Il Nazareno ha il doppio problema di Italia Viva e Azione: stipulare accordi, concedendo in cambio 2-3 collegi blindati a ciascuno dei leader, o provare a tagliare il cordone ombelicale? Qualcuno, con un po' di malizia, mette l'accento sulla maggiore "controllabilità" dei prossimi eletti, che di solito non dispiace ai grandi partiti. Molto si elucubra su un'ipotetica Lista Conte, destinata a recuperare una quota dei voti persi dai Cinquestelle e non solo: "Se togliesse 5-6 punti al centrodestra, soprattutto al Sud, il risultato elettorale si capovolgerebbe" ragionano nei Dem. La speranza è consegnata a una riedizione di "Scelta Civica", il contenitore di Mario Monti che nel 2013 alla Camera (con Casini e Fini) prese il 10% ma non portò fortuna all'ex premier.
Federica Fantozzi