di Alessandro Camilli
Ristori sì, subito. Le tasse poi, forse. E’ la proposta del mondo del calcio per evitare il baratro economico aperto dal coronavirus. Costi troppo alti ed entrate in picchiata, e allora la soluzione è tagliare i primi, ma a carico dei contribuenti.
E questo era il mondo, il settore che andava salvaguardato perché ogni anno porta nelle casse pubbliche un miliardo e due. La crisi c’è, per tutti, e il calcio non fa eccezione. Gli stadi sono vuoti e, per quanto questa fosse una voce quasi residuale delle entrate, la cosa pesa sui bilanci. Se a questo poi si aggiunge la mezza fuga degli sponsor, disposti a spendere meno perché anche loro alle prese con la crisi, e le minori entrate dal merchandising quei bilanci diventano insostenibili.
Calcio e coronavirus: spese insostenibili -
“Il costo del lavoro incide in maniera pesante sui bilanci — ha detto e spiegato Beppe Marotta, amministratore delegato dell’Inter — Per pagare gli stipendi le società spendono cifre intorno al 65% dei fatturati. In ogni azienda questi dati porterebbero al default”.
Problema e preoccupazione non solo dell’Inter e del calcio italiano. Nella ricchissima Premier League persino Arsenal e Tottenham hanno chiesto prestiti agevolati alla Banca centrale inglese per superare crisi di liquidità.
Calcio, tagliare gli stipendi per tagliare i costi - Evidente la necessità quindi di tagliare i costi, ma come? Se a pesare sono gli stipendi in primis, come ha detto chiaro e tondo Marotta, è su quelli che si deve intervenire. Non è giusto però scaricare tutto sempre sui lavoratori, anche se guadagnano qualche milione di euro l’anno, o al mese. Anzi soprattutto in questo, e il perché è presto detto.
La via d’uscita su cui lavora la Lega di Serie A è ottenere anche lei, come altre categorie, dei ristori. E poi puntare dritto sul taglio degli stipendi, ma ad essere tagliate nel piano della Lega devono essere le tasse che sugli stipendi si pagano. Rinviare quindi il pagamento di queste lasciando intatti gli stipendi che i giocatori percepiscono.
Ristori anche nel mondo del calcio - Un esempio. Poniamo un calciatore con un stipendio netto mensile di 1 milione di euro. Questo alla società che l’ha ingaggiato costa ogni mese il milione più le tasse da versare allo stato, a spanne circa altri 800mila euro. L’idea e quella di lasciare al giocatore suddetto il suo milione mensile, ma non dare allo Stato gli 800mila. Il costo così senza dubbio scende e a pagare non sono i lavoratori, ma nemmeno le società.
Qualche nome e qualche esempio. L’attaccante dell’Inter Romelu Lukaku incassa dai nerazzurri ogni anno la bellezza di 7.5 milioni netti. L’Inter, ogni anno, versa allo Stato per lo stipendio del belga 6.3 milioni di tasse. Restando a Milano, in casa Milan però, Gigio Donnarumma incassa 6 milioni di euro e, i rossoneri, versano nelle casse pubbliche 4.5 milioni. L’idea è quella di continuare a versare i 7.5 a Lukaku e i 6 a Donnarumma, ma non i 10.8 di tasse.
Una soluzione spudorata specie per un mondo, quello del calcio, che ha sbandierato il proprio ruolo indispensabile nella società anche e soprattutto sottolineando il miliardo e due che ogni anno versa nelle casse pubbliche, non per beneficienza ma perché dovuto, come dovute e non tagliate sono le tasse che tutti (magari!) gli italiani pagano.
“Siamo d’accordo, la richiesta di posticipare il ‘lordo’ è stata ottenuta da altri settori industriali, è un ragionamento di sistema e ben venga – dice il presidente dell’Associazione calciatori in una dichiarazione dove si lascia sfuggire probabilmente una parola di troppo che getta uno spiraglio di luce sulla reale entità e genesi del problema -. Il calcio italiano deve fare riforme per risolvere i suoi problemi strutturali, che la crescita non fosse sostenibile si sapeva da prima del Covid”.