di Gerardo Petta
Il lavoro a distanza, introdotto nel Consolato generale di Zurigo nel marzo dello scorso anno, in linea con quanto avvenuto in tutta la rete consolare, è figlio dell'emergenza sanitaria, una misura, quella del lavoro a distanza, di carattere straordinario e prudenziale, escogitata per proteggere gli impiegati pubblici dal contagio del Coronavirus. Desta però perplessità il fatto che una misura di emergenza e, quindi, temporanea, sia diventata strutturale, con effetti sull'erogazione dei servizi potenzialmente dirompenti.
In materia, la Funzione Pubblica ha diramato delle linee-guida, note coll'acronimo di ''POLA'', che delineano un insieme di indicazioni operative, che possono essere lette come una introduzione al lavoro futuro degli uffici pubblici. Si prospetta infatti un nuovo sistema di rapporti tra l'utente, da una parte, e l'ufficio, dall'altra, rapporti che tendenzialmente non si svolgono ''in presenza'', come si usa dire, ma da remoto. Salvo, infatti, correzioni di rotta, lo '' smart working'', come scrivono elegantemente i giornali della Penisola, potrebbe arrivare a comprendere fino al 50 per cento dei lavoratori pubblici, desertificando di fatto gli uffici e trasformando gli impiegati in soggetti che operano nel '' cloud'', ovvero nell'etere, candidandosi in questo modo a divenire, nella migliore delle ipotesi, degli invisibili consulenti telematici, e nella peggiore delle prospettive, degli individui segregati, privi di rapporti ravvicinati coi loro simili.
Ci domandiamo: il lavoro a distanza aumenta o diminuisce la produttività del lavoro consolare? La risposta è incerta, ma lo scenario non è incoraggiante. E' anche vero, tuttavia, che la deludente esperienza dei servizi consolari non è un fatto isolato, nel senso che il discorso abbraccia, più o meno, tutto il servizio pubblico, al punto da indurre l'Unione Europea a richiedere la riforma della Pubblica Amministrazione come condizione necessaria per l'erogazione delle risorse del ''Recovery Fund''.
Nel caso dei Consolati, merita notare come l' ''output'' lavorativo, ovvero la quantità di servizi erogati ai cittadini, come pure i tempi di erogazione dei servizi , mostrino un andamento per lo più declinante , e ciò sembra essere ancor più vero dopo l'introduzione del lavoro a distanza. Ecco perchè ci permettiamo di esprimere qualche riserva a proposito della lettera che i presidenti dei Comites di Zurigo e San Gallo hanno indirizzato di recente al ministro degli Esteri, con la richiesta di nuovo personale da assegnare alla sede zurighese. La lettera trascura un punto, secondo noi, di cruciale importanza, ovvero l'organizzazione del lavoro consolare.
In proposito, speriamo di non annoiare i lettori, se ricordiamo che, già negli anni precedenti all'irruzione del Covid, si registrava a Zurigo una carestia di forze lavorative - nella sede consolare erano attivi circa 35 impiegati su oltre 200 mila cittadini- e ciò nondimeno l'ufficio zurighese riusciva ad assicurare un servizio che è rimasto fino ad oggi ineguagliato.
Che fare, dunque? Se ci è consentito un modesto consiglio, vorremmo suggerire di abolire il sistema degli appuntamenti ( il cosiddetto '' prenota on line''), perchè sono gli appuntamenti a generare le liste di attesa. Vorremmo anche ricordare che l'età media dei connazionali residenti nella circoscrizione di Zurigo supera i 50 anni, ed è difficile per molti di loro comunicare via computer. Non giova, secondo noi, trasformare il Consolato in una fortezza, con le torrette e i ponti levatoi a presidio degli ingressi. I connazionali vogliono parlare ed essere ascoltati.
Gerardo Petta
consigliere Comites di Zurigo