È una maggioranza bulgara quella che Mario Draghi si appresta a incassare domani al Senato e giovedì alla Camera. Numeri che potrebbero oscillare tra l'85 e il 90% di entrambi gli emicicli, cifre mai viste nella storia repubblicana.
A rimanere all'opposizione Fratelli d'Italia, che con i suoi 33 deputati e 19 senatori costituirà i gruppi più nutriti fra le minoranze. Poco più di 50 sui poco più di mille parlamentari complessivi, che, al di là della prevedibile litigiosità dei partiti che supportano il premier, di per sé costituiscono a livello parlamentare poco più che una testimonianza dell'Italia che mal tollera l'ex presidente della Bce. Sono pochi, ma ci sono.
Esattamente dall'altra parte dell'emisfero politico sono ore di travaglio per Sinistra italiana, uno dei gruppi che hanno costituito il cartello elettorale conosciuto come Liberi e uguali. Leu ha marciato tutto sommato a ranghi compatti per tutto il corso della legislatura, almeno fino a ieri. Perché proprio ieri l'Assemblea nazionale del partito si è riunita e ha votato un dispositivo che impone ai parlamentari eletti il no alla fiducia.
Numeri larghissimi, 122 favorevoli, solo 16 contrari e 4 astenuti, che conferiscono un ampio mandato al segretario Nicola Fratoianni di schierare la pattuglia di eletti contro il nuovo esecutivo.
Ma quando si è girato, Fratoianni si è ritrovato da solo. Perché gli altri due colleghi che militano nello stesso partito, la capogruppo al Senato Loredana De Petris e il deputato Erasmo Palazzotto, si sono sfilati, prendendo posizione per il sì, lasciando il solo Peppe De Cristofaro con il leader, ex sottosegretario all'Università ma senza scranno parlamentare.
Così come i loro colleghi che sempre in Leu sono confluiti, ma militano in Articolo 1, l'altra componente della sinistra parlamentare, guidati da Roberto Speranza, confermato ministro, e Pier Luigi Bersani. Ad accodarsi a Fratoianni potrebbero arrivare Paola Nugnes ed Elena Fattori, due ex M5s confluite nei mesi scorsi nel gruppo, e delle quali si parla di un prossimo ingresso in Sinistra italiana.
"Vedremo, queste posizioni segnano il passo, le prospettive saranno diverse", spiega una fonte di Leu. È la risposta alla domanda è se stiamo assistendo ai prodromi dell'ennesima scissione a sinistra, che incontra generalmente posizioni molto caute. "Ma no, si cercheremo di proseguire insieme", spiegano da Sinistra italiana, convinti che al dunque, sui provvedimenti più discussi e identitari, le posizioni torneranno a saldarsi. "Non abbiamo un atteggiamento pregiudiziale - continuano - ma questo non può essere considerato il governo dei migliori, con dentro la Lega e ministri berlusconiani di quindici anni fa".
Ma c'è un tema che sta più a cuore fra tutti: "Non possiamo lasciare la rabbia sociale alla destra, permettendole di interpretare insieme il governo e la sua opposizione, dobbiamo guardare al paese, non esiste solo il Palazzo". Un'operazione legittima e che ha una sua logica, ma che rischia di avere un'incidenza relativa nel dibattito pubblico per l'esiguità dei numeri rappresentati.
A interpretare un'altra posizione alle estremità del dibattito pubblico, quella di un populismo che si batte contro la tecnocrazia della quale vede Draghi uno dei massimi riferimenti, dell'euroscetticismo, un pezzo dei dissidenti del Movimento 5 stelle. C'è quella che nel partito viene definita la "prima linea", quella fatta da duri e puri, orfani di Gianluigi Paragone che ha detto addio in tempi non sospetti e di Elio Lannutti, che su posizioni ruvide e iper-critiche ha deciso per il momento di non smarcarsi.
Ecco quindi Pino Cabras, Alvise Maniero, Jessica Costanzo, Bianca Laura Granato, Mattia Crucioli, Paolo Giuliodori, Andrea Colletti in prima fila anche insieme ai colleghi Raphael Raduzzi ed Emanuela Corda a battagliare su temi come il Mes e la prescrizione, orientati oggi tutti verso il no, guardando ad Alessandro Di Battista come possibile aggregatore di quell'area.
C'è poi il travaglio di chi non vuole rinnegare la propria storia, sente la spinta di simpatizzanti e attivisti che non comprendono le ragioni della conversione sulla strada di Draghi. Nicola Morra ha reso noto che non voterà la fiducia, così come il collega Emanuele Dessì, la parlamentare Rosa Menga che si è definita "molto incazz..." nelle chat con i colleghi, Danilo Toninelli che pure ha ribadito che accetterà il voto della base su Rousseau.
Si guarda a Barbara Lezzi come possibile collante in Parlamento di un dissenso che contiene dentro di sé tante ragioni diverse, che per prima aveva ipotizzato la possibilità di astenersi. La stessa linea seguita da Davide Casaleggio, un intervento che è stato accolto malissimo ai vertici del Movimento: "Scusa, perché io dovrei ingoiare e il mio collega astenersi, così Casaleggio avalla il tana libera tutti", dice animato un senatore. Il timore è che la benedizione della linea astensionista possa portare a ben più della trentina di indiziati la fronda contro Draghi. Per questo per stasera è prevista un'assemblea congiunta, l'ennesima. E per l'ennesima volta non sarà risolutiva.