di Franco Manzitti
Talk show, croce e delizia delle nostre serate in lockdown. Costretti in casa alle 22 dal coprifuoco, se cediamo alla tentazione di accendere il video e di seguire i dibattiti sulla tragedia che ci blocca inesorabilmente da 11 mesi e dalle sue conseguenze, come la crisi di governo, siamo spacciati.
Entriamo in un mondo parallelo, che ha sequenze simili, ospiti sempre uguali, notizie che variano di poco, conduttori sempre allupati, ritmi tambureggianti, Ma sinistri. Servizi spesso fotocopiati, protagonisti collegati sempre di più da altri mondi, che sono gli stessi. Il mondo, appunto, dei talk show.
Dio ci scampi e liberi se cerchiamo informazioni nuove, notizie più rassicuranti, documentazioni certe, spunti per capire di più.
Ci troviamo davanti a una compagnia di giro sempre la stessa. Che frequenta gli stessi studi o in qualche caso rimbalza da uno studio all’altro. Con una assiduità a prova di sfinimento. E una fedeltà che probabilmente ha anche nel gettone di presenza la sua ragione. Ma nella ricerca conscia e inconscia di visibilità la sua molla principale.
In principio c’erano i virologi, gli epidemiologi, i microbiologi, gli infettivologi, i pneumologi diventati superstar.
Talk show “Di Martedì”: lei è la bussola - “Lei è la nostra bussola nell’epidemia”, annunciava inizialmente Giovanni Floris, il conducator di “Di Martedì”. Uno dei talk show più martellanti, in onda sulla “7”. Presentava Ilaria Capua, virologa-veterinaria italiana, in servizio negli Usa in un prestigioso centro di ricerche, dopo le delusioni italiane. La coinvolsero in un inesistente scandalo di traffico di virus, dopo che era diventata parlamentare ai tempi di Mario Monti. E scappò dall’Italia. E la Capua, una signora di rara chiarezza espositiva e di elegante distacco, è stata per mesi la superstar non solo di quella trasmissione, dove continua ad apparire, forse consumandosi un po’.
Ma Ilaria Capua è solo la capofila di un esercito di esperti che nel breve spazio dell’illusione estiva sono desaparecidi dagli schermi tv per poi riapparire quando l’epidemia ha incominciato a rimontare.
Con persistenza quasi inesorabile e presenza sempre molto disponibile hanno riempito canali e trasmissioni. Da “Di Martedi” sulla “7” a “Carta Bianca” su “Rai Tre”. A “Piazza Pulita” sempre sulla “7”. A “Diritto e Rovescio” su “Rete 4” A “Speciale Italia” sempre su “Rete 4”. Ancora a “Quarta Repubblica” ancora sul “4”, alla più snob di tutte, “ Otto e mezzo” della “7”. A “Non è l’arena”, ancora “7”. A ”Con Barbara D ’Urso” sulla “5”. E chi più ne ha più ne metta, in questo infinito bla bla, tra storici e nuovi conduttori. E chissà quanti ne dimentichiamo.
La regina dei talk show - Dalla aggressiva Lilly Gruber, in tacco 12, seduta sulla punta della sedia e giacca firmata Armani su pantaloni ultraattillati. Alla sbandante Bianca Berlinguer, un po’ matronale. Allo scattante Giovanni Floris. All’elegante e schieratissimo (a destra) Nicola Porro. Allo scamiciato Massimo Giletti. Alla signora Rutelli- Palombelli, con i suoi impeccabili completini con scollatura in bella vista. E la sua compagnia di giro, ruotante tra i fedelissimi Mediaset. E ospiti improvvisi e rutilanti come Vittorio Sgarbi o il metodico Casini.
Ne fanno in parte tanti, quasi sempre gli stessi, con uno schema oramai fisso e le parti in commedia alternate. In un mix sapientemente servito. Tra, appunto, conduttori, medici e scienziati esperti, giornalisti con posto fisso, direttori di giornali. Collegati stabilmente o dai loro uffici o da casa con retro di libreria spesso sapientemente accatastata. E arredamenti da ispezionare con curiosità.
Viviamo sprofondati nell’epidemia da mesi e mesi. Con questa eco serale notturna inesorabile. Nella quale oramai si è coniugata perfettamente l’emergenza sanitaria drammatica e cavalcante con quella politica. Oggi culminata nella crisi dominata dal silente Mario Draghi e da tutti i rumors intorno.
Stessi giornalisti per tutti i talk how - I giornalisti sono sempre gli stessi con poche mutazioni e sorprese, che ogni tanto sparigliano la scena.
Dalla Gruber hai ritmicamente Beppe Severgnini, con la frangetta e il suo fair play british. Inevitabilmente Marco Travaglio. Con la sua ironia permanente, il tono seccato-provocante. Indossato sulle giacche con camicia aperte e colletto botton down. E la raccolta de “Il Fatto” alle spalle.
Spesso, anzi spessissimo il direttore della Stampa, Massimo Giannini, che dopo l’avventura vissuta drammaticamente di persona del Covid, sembra avere trovato non solo un look diverso. Ma una persistenza quasi più accanita, in ogni possibile talk show. Con una copertura universale di reti e canali, probabilmente in virtù della sua esperienza personale.
Per non parlare del “front destr”, con il direttore de “Il Giornale” Alessandro Sallusti, inesorabilmente presente, quasi la sua immagine fosse obbligatoria per “equilibrare” o per una par condicio che oramai è andata al diavolo negli sconquassi della politica di oggi.
E se per la destra non c’è Sallusti ecco il sagace Pietro Senaldi di “Libero”. Oppure, ma non in tutte le trasmissioni, Maurizio Belpietro, de ” La Verità”. Raro, rarissimo Vittorio Feltri con i suoi larvati turpiloqui e i collettini bianchi a punte tonde delle camicie. Tra i direttori indimenticabile Marco Damilano, dell’”Espresso”, gloriosa testata che oggi è come se non ci fosse più. E tra le superstar guai a non accennare a Conchita De Gregorio de “La Repubblica”, già direttrice dell’”Unità”. E oggi soave commentatrice nell’aspetto, non certo morbida nelle polemiche.
Direttori e ex direttori - Poi c’è il saggio Antonio Padellaro, ex direttore de “Il Fatto” e dell’Unità, tagliente nelle sue analisi. E Massimo Franco de “Il Corriere della sera”, spesso il più misurato. I direttori Maurizio Molinari di “Repubblica” e Luciano Fontana de “Il Corriere” appaiono, ma con una certa parsimonia. Anche se recentemente stanno prendendoci gusto.
Gruber ovviamente ci tiene nel suo talk a mantenere la quota di genere, che rivendica con punte di polemica spesso un po’ sopra le righe (o sopra le sopracciglia). Invitando la scrittrice pasionaria Michela Murgia, sempre un po’ invelenita. O le più tranquille giornaliste Annalisa Cuzzocrea, giornalista ben informata della “Repubblica”. O la revenant Mariolina Sattanino, ex corrispondente Rai nelle grandi capitali, rivelatasi molto up to date nella politica italiana. O ancora Marianna Aprile di “Oggi”, una mosca bianca per moderazione e stile.
Sul fronte dei giornalisti impera anche Andrea Scanzi, il super seguito (ha milioni di followers sul web), giornalista de “Il Fatto”, scrittore acuminato, nemico giurato di Salvini e Renzi. Che raggiunge l’apice quando insieme con lui è convocato il professore per eccellenza, Massimo Cacciari. Tanto colto quanto spesso violentemente iracondo.
Le sue furie sono oramai leggendarie, come la sua barba e la chioma fluente, un vero must delle trasmissioni dove compare.
Gli scienziati irrompono nel talk show - In questa compagnia gli esperti e gli scienziati sono oramai perfettamente inseriti con toni di intervento spesso prevedibili. Quasi la parte in commedia fosse oramai ben dosata, a seconda della compagnia e dell’ argomento imperante. Sempre però nei confini tra contagi, misure di contenimento, vaccini, varianti e conseguenti mosse politiche. Oramai il confine epidemia-situazione politica non c’è più.
E così improvvisamente si ascolta il massimo esperto, il famosissimo Massimo Galli, direttore di Infettivologia all’Ospedale Sacco di Milano. Sempre apparentemente infastidito, ma inequivocabilmente disponibile. Che prende le dovute distanze da una domanda di pura politica sul nascente governo Draghi.
O si scopre il professor Matteo Bassetti, direttore della Clinica infettivologa di Genova, esibirsi in suggerimenti di politica sanitaria. La virologia e l’epidemiologia sono diventate scienze in qualche senso politiche. Le sentenze degli esperti come Cartabellotta, presidente di Gimbe o come Lo Palco, epidemiologo divenuto assessore sul campo in Puglia, si esprimono sfornando numeri, che diventano veri diktat per chi amministra la sanità.
E che dire dell’autorevole Patrizia Viola, virologa che parla dall’Ospedale di Padova. Sempre precisa e sorridente, già in corsa, secondo i rumors rivelatisi fasulli, per il Ministero della Sanità?
È difficile sfuggire al ritmo incalzante delle trasmissioni e degli interventi che si dipanano per tutta la giornata in ogni rete e trasmissione, nessuna esclusa.
Un vero varietà la domenica sera - Da Fabio Fazio nella sera della domenica, quando si celebra il rito di “Che tempo fa”, il tourbillon è condito con altri temi da vero gran varietà dello spettacolo. Non fosse per il clima un po’ trattenuto di catastrofe incombente. Poi deviato dagli sberleffi della super protagonista, Luciana Littizzetto, che cerca di riportare una normalità con le sue gag spesso anche un po’ spinte. Di fronte allo strumentale stupore scandalizzato del conduttore.
Qui si alternano, dopo le performance di Burioni, uno dei guru virologi, spesso gli ex direttori come Paolo Mieli e Ferruccio De Bortoli, assurti al ruolo di vate di questa ed altre trasmissioni.
Nel grande frullatore che non si ferma mai. E che in realtà frulla l’ansia che ci agita oramai da quasi un anno, le due categorie dei giornalisti e degli esperti si accavallano incessantemente. Con poche eccezioni dei protagonisti veri e proprio, ministri, sottosegretari, governatori di Regioni.
Il ministro della Sanità Roberto Speranza ogni tanto appare in piedi, severo e ammonitorio. Il suo vice nel governo Conte bis uscente, il medico chirurgo Paolo Sileri è, invece, sempre presente, a ogni ora e sotto ogni sigla, al punto da sollecitare la domanda se mai andrà al Ministero a lavorare contro il virus.
La stessa domanda riguarda molti giornalisti, soprattutto i direttori onnipresenti, che saltano da uno schermo all’altro nelle ore cruciali di fattura del giornale.
Quando ai giornalisti era proibito il tak show - Qualche anno fa ci spiegavano che andare in Tv era interdetto, perché significava “regalare” la nostra professionalità a un concorrente dei giornali in cui lavoravamo. E se sgarravamo venivamo pure puniti.
Ora è il contrario: sembra che se non sei in tv tutte le sere il tuo giornale perde qualcosa. In realtà i giornali, tutti, inesorabilmente e con rarissime eccezioni, perdono valanghe di copie e non ci vengano a raccontare che andare in tv, “in presenza” o collegati con dietro le insegne della testata o le librerie casalinghe, sia un beneficio per la testata stessa.
A me sembra, piuttosto un benefit personale di visibilità, in un gioco che se non ci sei il tuo giornale non conta. E, comunque, c’è da sperare che Mario Draghi o meglio il suo stile, portino un po’ di sobrietà anche in questa maxi esibizione, che marca i nostri tempi così difficili, senza migliorare l’umore e spesso le conoscenze dei poveri utenti.
Ma di che ci lamentiamo: si chiama talk show che vuol dire uno show di parole…Parole, parole, parole…..