di Lucio Fero
Infermieri al San Martino di Genova, una quindicina: quando viene loro proposto rifiutano il vaccino. Non vogliono vaccinarsi, nonostante per l’attività che svolgono siano i tra i primi chiamati ad usufruire delle poche dosi disponibili. Medici, infermieri, personale sanitario: messi davanti a tutti nella grande fila per i vaccini in considerazione e per necessità e implicazioni del mestiere che fanno. A contatto con pazienti non devono rischiare di contagiare e contagiarsi. Ecco perché viene loro offerta la possibilità di vaccinarsi e vaccinarsi per primi.
Vaccino non obbligatorio, neanche per medici e infermieri - In Italia vaccinarsi contro il Covid non è obbligatorio. Neanche per quelle categorie e per quelle attività e mansioni dove l’esser vaccinato dovrebbe essere una condizione operativa sine qua non. Un infermiere in Pronto Soccorso o in corsia non vaccinato sembra, anzi è una contraddizione in termini.
Un pericolo per chi viene a contatto con lui/lei. Un pericolo là dove dovrebbe essere un elemento di cura. E un prof o un austista di bus non vaccinati anche loro ad esempio, o un lavoratore in una Rsa o un poliziotto o carabiniere o vigili del fuoco…Per chi a stretto contatto con il prossimo vaccinarsi un diritto e un dovere. Per nessuno però un dovere professionale come per medici e infermieri. Però non c’è obbligo, quindi 15 infermieri (minoranza netta ma non infima) dicono di no, rifiutano vaccino.
Poi si ammalano di Covid - A quanto si deduce dalle cronache i 15 restano al lavoro, e già qui i diritti individuali e personali fanno discreta strage dei diritti della collettività. Ragione pudore civile vorrebbero che se volontariamente non vaccinato sia escluso tu possa stare a contatto con chi altri si trova in ospedale. Ma al riparo di totemiche privacy e arcigne quanto ottuse prerogative sindacali se rifiuti vaccino resti infermiere. Accade quindi che gli infermieri non vaccinati per loro volontà contraggano Covid. Resistendo alla tentazione di un ingeneroso ma impellente ben gli sta, accade di poter osservare qualcosa di più, veramente di tutto e di più.
Chiedono infortunio sul lavoro - La richiesta pervenuta all’Inail è che il Covid contratto anche dopo aver rifiutato il vaccino sia da considerare ai fini del trattamento di malattia e indennizzo infortunio sul lavoro. Dicono all’Inail ci stiano pensando e già questo è un di più. Sussurrano stiano per rispondere: no, in questo caso non è infortunio sul lavoro. Già il fatto che ci possano essere altre ipotesi e cautele nella risposta è u di più. Il rifiuto del vaccino è con tutta evidenza la causa e l’origine dell’aver contratto malattia, l’infortunio sul lavoro è una pretesa. Pretesa non priva di protervia.
Come in casco in cantiere - Qualcuno, per spiegare ed esemplificare, ha suggerito: rifiutare il vaccino per un infermiere è come per un operaio o capo mastro rifiutarsi di indossare il casco in cantiere, è rinunciare alla protezione e mettersi di propria volontà in condizione di subire danno. Giusto, attenzione però alla metafora-esempio del casco anti infortuni. Non mancano in Italia magistrati del lavoro che rileverebbero la responsabilità aziendale di farlo indossare comunque e quindi la sussistenza dell’infortunio sul lavoro in caso di incidente.
Non solo, se non indossi il casco in cantiere rischi di far danno a te stesso. Se infermiere non ti vaccini fai danno alla tua salute e a quella della collettività. Poi pretendi che la collettività, il cui interesse sanitario hai messo sotto le scarpe, indennizzi in solido il danno privato che non hai voluto evitare. Alla fin fine non dovrebbe essere questione di sola Inail, alla fin fine dovrebbe essere regola generale e stringente: infermiere libero di non vaccinarsi ma infermiere non vaccinato sospeso dal lavoro. Non per punirlo della sua scelta ma per difenderci dalla sua proterva incoscienza.