di Lorenzo Santucci
Se c'è un Paese nel mondo che è stato travolto dalla pandemia di coronavirus, quello è il Brasile. A testimoniare la schizofrenia della gestione di Jair Bolsonaro è l'ennesimo cambio al vertice del Ministero della Salute. Il quarto, nel giro di un anno. Marcelo Queiroga, presidente della Società brasiliana di cardiologia, prenderà il posto del generale Eduardo Pazuello. Il quale riconosce che non aveva mai ricoperto alcun incarico nel settore sanitario ed eseguiva semplicemente gli ordini.
Un incontro, quello di Pechino, impensabile giusto qualche mese prima, quando il figlio del presidente Jair Bolsonaro, Eduardo, deputato e membro della Commissione per gli Affari Esteri, accusava la Cina di spionaggio e di essere la responsabile della diffusione del virus. Ma eravamo in un'altra epoca, quella di Donald Trump - del quale Eduardo Bolsonaro, come suo padre, era un gran sostenitore.
Da quando il tycoon ha lasciato la Casa Bianca, però, di cose ne sono cambiate e il ministro brasiliano, oltre a depennare dalla lista nera Huawei e permetterle di prender parte all'asta, ha colto così l'occasione per chiedere a Pechino informazioni sui vaccini.
"Ho approfittato del viaggio per chiedere dei vaccini, che è quello che tutti chiedono a gran voce", ha dichiarato Faria in merito all'incontro, assicurando come non ci sia stato alcun gioco alla contropartita. Credere o meno alle parole del ministro non cambia ai fini della questione. Come riportato sul New York Times, il rapporto tra Huawei e l'uscita dalla pandemia è molto forte, specie in Brasile. Quando Manaus, proprio mentre il ministro tesseva nuove relazioni, era devastata dalla nuova variante, l'azienda tecnologica cinese ha donato alla città 20 macchine per la ventilazione. In generale, l'utilizzo del 5G garantisce agli ospedali software fondamentali per la lotta al virus. E con 11 milioni e mezzo di contagiati e più di 270 mila morti - secondo paese al mondo in entrambe le classifiche - il Brasile ha un disperato bisogno di accelerare la sua campagna vaccinale.
In merito alla questione Huawei ha dichiarato come potrebbe essere coinvolta per quanto riguarda la "comunicazione, aperta e trasparente, su un argomento", quale quello dei vaccini, "che coinvolge i due governi".
Un ruolo ancor più centrale della Cina non era difficile da immaginare: uscendo prima di tutti dalla crisi sanitaria ed economica, Pechino ha puntato a rafforzare le proprie alleanze e a cercarne di nuove. In Africa, in primis, e in America Latina subito a seguire. Due delle aree più fragili e giovani al mondo, sulla quale la Cina anzitempo sta mettendo gli occhi. A differenza degli altri Stati leader che stanno puntando ad accaparrarsi quante più dosi disponibili, il dialogo intrapreso da Pechino con i paesi emergenti e in via di sviluppo sta mostrando a questi ultimi una faccia diversa della Cina, salita nelle posizioni di gradimento di molti, a quanto pare anche di chi un tempo non temporaggiava a scrivere un tweet velenoso.
Altri tempi, altre esigenze. Sarebbe sbagliato pensare che l'arrivo di Joe Biden sia stato accolto come una manna dal cielo. Anzi, il rispetto dell'ambiente più volte rimarcato dall'ex vice di Barack Obama, con particolare attenzione a quanto accade nelle foreste amazzoniche brasiliane, non è stata di certo gradita a chi da anni porta avanti una politica di accaparramento delle terre spietato - caratteristica comune ai vari governi brasiliani che si sono susseguiti nel corso degli anni: Bolsonaro ha solamente intensificato questo modus operandi. Il non poter contare su un alleato come Trump e l'elezione del suo opposto hanno fatto sì che la politica estera del Brasile verso l'Oriente cambiasse radicalmente. Di fronte alla somma di questi fattori, il governo di Jair Bolsonaro ora punta a rivolgersi ai vertici del Partito comunista cinese. Che, ben felice, ha ascoltato quanto aveva da dire il ministro Faria.
Pechino e Brasilia sono, da ormai diversi anni, appese a un filo che ne garantisce il perfetto equilibrio della formula do ut des. La Cina, con la popolazione - per ora - più numerosa al mondo e una disponibilità di terre arabili inferiori al 7%, si ritrova gioco forza a importare quantità enormi di soia brasiliana (durante la pandemia, è stato segnato il nuovo record di acquisto pari a 125 milioni di tonnellate, con una domanda che copre il 75% del totale), per il 70% da destinare come alimento per gli allevamenti intensivi. Il Brasile, che fa delle esportazioni alimentari la colonna portante della sua economia, esaudisce a sua volta la richiesta cinese fino a quando avrà terreno da poter disboscare.
Un giro di affari con ripercussioni ambientali e geopolitiche importanti, cementificato dopo l'introduzione dei dazi da parte di Trump nei confronti della Cina che, in ritorsione, ha smesso di importare soia americana e ha cominciato a guardare altrove. Più a sud del mappamondo, in particolare.
Sembrerebbero lontani i tempi in cui l'estrema destra di Bolsonaro interrompeva gli studi del vaccino cinese nei laboratori brasiliani, vanificando così i 45 milioni di dosi richieste dal ministero della Salute. La scarsa fiducia - al netto dei risultati scientifici - sull'efficacia del vaccino CoronaVac di appena un paio di mesi fa è stata immediatamente abbandonata di fronte al crescere dell'emergenza. La richiesta del governatore di San Paolo per l'approvazione da parte dell'Agencia Nacional de Vigilancia Sanitaria (Anvisa) è stata prima stigmatizzata da Bolsonaro ("Il vaccino è del Brasile, non dei governatori", aveva affermato ai suoi sostenitori all'esterno del Palacio de Alvorada nella capitale) e poi seguita dall'ordine di 100 milioni di dosi effettuato dal Governo. D'altronde, la variante locale corre e molto più velocemente rispetto alle altre, dimostrando una capacità di trasmissione tra le 1,4 e 2,2 volte più trasmissibile che ha rigettato nel panico diverse metropoli. Manaus è presa a simbolo: dopo il picco dello scorso aprile, si pensava che la maggior parte dei due milioni di abitanti fosse stata immunizzata. Credenza smentita dall'arrivo della variante, quando i casi sono tornati a crescere vertiginosamente in città, intasando gli ospedali.
A quel punto, qualcosa è cambiato nella testa di chi riteneva inutile vaccinarsi se già si era contratto il virus, dando dell' "imbecille" a chi era su una posizione diversa - leggere sempre alla voce Bolsonaro. La gestione pandemica di Bolsonaro durante quest'anno è stata schizofrenica: prima una sottovalutazione del virus vicina al negazionismo più becero, poi un correre ai ripari quando la situazione era fuori controllo.
Una mutazione che ha spinto a chiedere il sostegno di chi solitamente bussa alla porta del Brasile, quella stessa Cina in astinenza da terreni e soia che adesso possiede tra le mani un'arma di ricatto niente male da poter giocare. Vaccino in cambio del 5G, viceversa se la si osserva dal punto di vista sudamericano. "La distribuzione globale dei vaccini deve essere equa e, in particolare, accessibile e conveniente per i paesi in via di sviluppo. Ci auguriamo che tutti i paesi che hanno la capacità si uniscano per mano e diano il dovuto contributo", aveva affermato il ministro degli Esteri, Wuang Yi, in un discorso al Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU alla fine dello scorso mese dove ha tenuto a precisare come milioni di dosi del vaccino prodotto dall'azienda farmaceutica Sinovac siano state inviate gratuitamente a 53 paesi bisognosi ed esportate in altri 22 - tra cui la Serbia, che ne ha annunciato la produzione, e l'Ungheria di Viktor Orban, che ne ha ordinate 5 milioni di dosi per una popolazione di 10 milioni di abitanti.
Tra gli altri, figurano anche 12 Stati tra Centro e Sud America. Messico a parte, Perù, Colombia, Ecuador e Bolivia hanno iniziato a vaccinare i propri cittadini con le dosi arrivate dalla Cina. Così come anche il Cile, il paese che a inizio pandemia contava il numero più alto di contagiati in tutto il Sud America e che adesso ha vaccinato quasi un terzo della popolazione, con 34,48 dosi ogni 100 abitanti somministrate, dietro solamente a pochi altri nel mondo. Addirittura il Paraguay, che ha il neo di riconoscere Taiwan e intrattenerci relazioni diplomatiche, sta cominciando a rivolgersi alla Cina dato il crescere dei contagi. Un'apertura a tutto campo, a sentire il ministro degli Esteri, Euclides Acevedo, il quale si augura "che la relazione non finisca con i vaccini, ma assuma un'altra dimensione nella sfera economica e culturale. Dobbiamo essere aperti a ogni nazione mentre cerchiamo la cooperazione e per farlo dobbiamo avere una visione pragmatica".
La stessa concretezza che ha permesso di rompere gli indugi al suo omologo brasiliano facendogli prendere un volo per Pechino, per parlare di 5G e vaccini. La Cina è consapevole dell'importanza del momento storico e del ruolo che può rivestire: non a caso, Feng Doujia, presidente della China Vaccine Industry Association, avrebbe assicurato come Sinovac e Sinopharm, i due più grandi gruppi farmaceutici del paese, abbiamo stimato una produzione complessiva pari a due miliardi di dosi entro la fine dell'anno. L'obiettivo è raddoppiare la produzione entro il 2022, riuscendo così a coprire il 40% della domanda globale.
Senza più l'ombra di Donald Trump, Bolsonaro non ha di certo resettato le sue idee politiche. Anzi, si è visto scoperto, senza più quella coperta chiamata America dove potersi riparare. Soprattutto, l'ex artigliere e paracadutista si potrebbe sentire meno condizionato nel tessere relazioni anche con interlocutori come la Cina, che in questo momento garantisce maggiori benefici per il suo paese rispetto a quanto possa fare Biden. Siamo lontani da un'apertura politica come la potremmo intendere, insomma. Casomai, stiamo osservando l'ennesima dimostrazione di tutela nazionale. Quella che Cina e Brasile conoscono bene, sempre in base al do ut des. Fino a ieri era la soia in cambio di soldi, oggi sono i vaccini in cambio del 5G. Cibo, salute e connessione tecnologica: dare per avere.