La Commissione tematica del Cgie “Sicurezza, Tutela Sociale e Sanitaria” ha promosso un webinar sul tema delle misure di prevenzione adottate nei luoghi di lavoro per la pandemia da Covid, valutando criticità e prospettive internazionali. L’assemblea è stata presieduta dal Presidente della Commissione Maria Candida Imburgia mentre la relazione sull’argomento è stata affidata al Dott. Fulvio D’Orsi, Docente in Medicina del Lavoro presso l’Università di Tor Vergata. “La pandemia globale ha messo a dura prova tutti gli ambiti della nostra esistenza sia nel privato che nel pubblico, dagli stili di vita ai contatti sociali fino al ripensamento della reale scala dei valori”, ha spiegato Imburgia evidenziando come nell’ambito lavorativo gli effetti sono stati certamente molto forti nonostante gli sforzi dei Governi dei diversi Paesi per tutelare il diritto alla salute dei lavoratori. “In Italia nel 2020 è stato sottoscritto un protocollo con le parti sociali specificamente destinato alle misure di contrasto della pandemia sui luoghi di lavoro: obiettivo prioritario è consolidare i sistemi di protezione propri dell’era antecedente al Covid”, ha aggiunto Imburgia ricordando che dai dati Istat risulta come un 60% di lavoratori nel settore privato abbia usufruito dello smart working a fronte dell’80% nel settore pubblico: dati in generale molto in crescita se si pensa che prima del Covid solo un 10% dei lavoratori in Italia praticava lo smart working.
Michele Schiavone, Segretario Generale del Cgie, ha parlato di impatti sul mondo del lavoro e sulla mobilità: argomenti che interessano da vicino i connazionali all’estero in un sistema sempre più globalizzato. “Il Cgie sta vivendo questa realtà in prima linea: da febbraio 2020 ad oggi ci sono stati interventi di sostegno e accompagnamento ai connazionali, anche grazie alle associazioni. Dobbiamo capire ciò che è accaduto per mettere in piedi forme di sostegno nel futuro, anche per quei connazionali che continuano ad emigrare”, ha aggiunto Schiavone menzionando il tavolo di consultazione tra Maeci e Ministero della Sanità per le necessità di vaccinazione di quanti sono rientrati in Italia. “Quanto meglio approfondiamo gli argomenti soprattutto nella sanità tanto più saremo organizzati”, ha evidenziato il Segretario Generale facendo presente che ci sono connazionali che vivono in Paesi del Sudamerica, come Venezuela e Perù, o dell’Africa che chiedono garanzie in fatto di tutela sanitaria e se il nostro Paese è in condizione di aiutarli ossia fargli avere stock di vaccini. Il Segretario Generale ha invitato la Commissione a pensare ad una pubblicazione sul tema del webinar inserendo le iniziative fatte dal Cgie durante l’anno della pandemia per i connazionali e intere famiglie in difficoltà, insieme ad associazioni e Unità di Crisi.
Il relatore Fulvio D’Orsi ha precisato che questa pandemia ha mutato l’approccio generale con la sanità, essendo un problema che simultaneamente riguarda tutto il mondo: ovvero da quando il Coronavirus ha compiuto, circa un anno fa, quello che si chiama “il salto della specie” passando alla specie umana e non è un fenomeno nuovo ma si è già verificato sette volte, causando in tre circostanze patologie rilevanti come il Covid. Almeno quattro sono le caratteristiche principali del Covid: contagiosità ed alta trasmissibilità, presenza numerosa di asintomatici e letalità minore rispetto ad altre gravi malattie. “Questa malattia è ad elevata diffusione – ha precisato D’Orsi – mentre ad esempio l’Ebola ha invece ha avuto difficoltà a diffondersi proprio per l’alta mortalità dei contagiati”. Il Sars-Cov2 è tecnicamente un virus capsulato ossia rivestito da un sottile strato lipidico a protezione del cuore vitale del virus dove c’è l’acido nucleico: proprio questa struttura lo rende in realtà vulnerabile, se esposto a sostanze disinfettanti in grado di sciogliere la protezione esterna e lasciarlo scoperto. I dati più recenti rivelano che su oltre 120 milioni di contagi al mondo da inizio pandemia le morti attribuite al Covid sono state stimate attorno a 2 milioni e mezzo, ossia un 3% del totale. Il virus si propaga principalmente per via aerea e in presenza di elevata aggregazione di persone; quando tutti indossano correttamente la mascherina e mantengono il giusto distanziamento le probabilità di contagio scendono all’1,5%. Altre armi per difendersi, con le quali abbiamo più o meno tutti fatto conoscenza, sono i test diagnostici, il contact tracing, la quarantena e in ultimo i vaccini quale arma che si spera definitiva. In ambito lavorativo bisogna valutare il rischio e quindi assumere le misure adeguate, dover al contempo gestire un alto numero di assenze o di persone in telelavoro, prestare attenzione ai lavoratori che si sono ammalati. Esiste un protocollo sottoscritto per gli ambienti lavorativi, come già accennato, ed è quello del 24 aprile 2020 che prevede la costituzione sul luogo di lavoro di una Commissione per l’applicazione e la verifica delle norme previste dal protocollo. Si definiscono ‘lavoratori fragili’ coloro che, a causa di condizioni di salute preesistenti, potrebbero incorrere in caso di contagio da Covid in un esito particolarmente grave. Per ‘contatto stretto’ deve intendersi quello con una persona positiva a distanza inferiore ai due metri e per un periodo superiore al quarto d’ora; altrimenti la permanenza in un ambiente chiuso con un soggetto positivo in assenza di adeguati dispositivi di protezione.
Silvana Mangione, Vicesegretario Generale del Cgie per i Paesi anglofoni extraeuropei, ha richiesto chiarimenti per quei lavoratori che svolgono opere intellettuali non necessariamente in presenza, persone che siano single o che non hanno contatti sociali utili a scaricare la tensione di questi mesi difficili rinchiudendosi magari nel lavoro ad oltranza. Mangione ha chiesto quali dispositivi siano più idonei alla protezione – se non addirittura una doppia mascherina – considerando che negli USA è stata superata la soglia dei 30 milioni di contagi e di 550 mila morti. Un’altra preoccupazione deriva dall’aumento dei suicidi: tra chi ha perso il lavoro e chi non riesce più a far fronte alle necessità familiari sono aumentate le fasce di fragilità psicosociale. D’Orsi ha evidenziato come ovviamente il contesto extra lavorativo sia strettamente collegato all’emergenza per cui persone che vivono la solitudine, anche per via delle restrizioni. “Servono misure di supporto al di là di misure palliative: il supporto psicologico che viene fornito a seguito di forme di violenza sul posto di lavoro va esteso a questo scenario. Non crediate che lo smart working finisca con l’uscita dalla fase di emergenza e si tratta qui di trovare una regolamentazione che riguarda il diritto alla disconnessione”, ha spiegato D’Orsi che sulle mascherine ha risposto con una battuta molto realistica per stigmatizzare il malcostume di chi evidentemente ritiene di non indossarle: “meglio due mascherine su due facce diverse” nel senso che una mascherina è più che sufficiente ma l’importante è cambiarla spesso. Una mascherina del tipo FFP2 riesce comunque a garantire mediamente maggior protezione di una semplice mascherina chirurgica, per via della maggiore aderenza laterale al viso che impedisce all’aria di entrare proprio dai lati. D’Orsi ha consigliato anche la visiera, se in presenza di persone prive di ogni protezione, considerando che l’altra via di contagio sono gli occhi e in quel caso lì ci sarebbe poco da fare non incontrando le goccioline in aria alcun ostacolo tra il soggetto contagiato e il suo interlocutore. Enrico Musella, consigliere Cgie-Francia, ha chiesto quali garanzie ci siano per un lavoratore che ritenga un luogo di lavoro non sicuro. D’Orsi ha ricordato che tutti i Paesi europei condividono, per il datore di lavoro, l’obbligo di valutare il contenimento dei rischi ma non c’è una legge specifica per questo particolare contesto. La differenza tra Paesi è però nel sistema di vigilanza pur a fronte di una direttiva unitaria e condivisa, la direttiva n° 391 del 1989. “In Italia la vigilanza è capillare e valida ma regionale per cui quello che vale in una Regione potrebbe non valere in un’altra”, ha spiegato D’Orsi vedendo comunque un limite in questo modello.