di Franco Esposito
Uno sciopero. Ventiquattro ore. La protesta ha fatto scalpore, sollevando polveroni senza fine. Ne ha parlato il mondo, che si è chiesto: come mai alcune categorie di dipendenti di Amazon, quelli addetti alla consegna dei pacchi in particolare, hanno deciso di astenersi dal lavoro? Uno sciopero per dire "basta a turni massacranti, lavorare così è disumano".
Ventiquattro ore di stop e l'indice dei lavoratori puntato, in Italia, contro il colosso creato da Jeff Bezos, 840mila dipendenti in tutto il mondo, a Seattle, Washington, la sede centrale operativo, e un fatturato annuo spaventoso, 386 miliardi di dollari. In Italia, mediamente, pare abbia incrociato le braccia il settanta per cento degli addetti.
Una clamorosa agitazione per dire basta. Anzi per urlarlo, in modo che anche i duri di orecchie abbiano potuto captare il pesante messaggio. Gridato anche attraverso striscioni dal contenuto inequivocabile. Frasi di denuncia come questa: "Siamo persone, non algoritmi. Basta correre".
Ebbene sì, in alcuni stabilimenti italiani di Amazon è tutto un gran correre. Continuo, assillante, sfiancante. Maratone senza un attimo di sosta. Dovendo tenere conto di un nemico non invisibile, comunque non contrastabile, a cui non è possibile sfuggire. L'algoritmo che regola il recapito dei pacchi a casa.
L'algoritmo si aggiorna continuamente per ottimizzare al massimo le consegne. "Il mostro che ci ha portato appunto a una consegna ogni tre minuti". Una lotta impari, senza alcuna possibilità di confronto. Un nemico invisibile, l'algoritmo, non puoi tirarli contro pugni né ceffoni. "Siamo impotenti, è come un fantasma, non può essere trascinato ad un tavolo di confronto", lamentano in coro i rappresentanti sindacali dei lavoratori. "Una vera controparte non esiste, perché le società che hanno in appalto il servizio di consegna ci rispondono che modalità e tempi non dipendono da loro, ma dall'algoritmo".
La mancanza di umanità viene invocata dai lavoratori come l'aspetto peggiore nel rapporto con Amazon. "I carichi sono aumentati a dismisura nell'ultimo anno. Sarebbe necessario ridurre la distribuzione pro capite". Ma Amazon da questo orecchio mostra di non voler ascoltare nulla e nessuno. "Cliccare su un acquisto è facile, ma se i clienti pensassero a come l'azienda ci tratta, forse la boicotterebbero".
Il primo segnale di boicottaggio (un tentativo per smuovere un po' le acque) lo hanno posto in essere proprio loro. I lavoratori con la proclamazione dello sciopero. Pare oltretutto che i turni di riposo non siano regolamentati.
I camionisti dispongono della carta tachigrafica che impone l'alternanza di tempi di guida e tempi di riposo. Gli altri no, nulla del genere, e guidano stanchi e stressati. "Non c'è tempo, talvolta siamo costretti a fare la pipì a bordo, dentro una bottiglietta", rivela un camionista di Firenze, che consegna pacchi per Amazon. "Pare di essere dentro un film di Ken Loach". Forte e pressante diventa a questo punto la richiesta di una legge "a tutela di salute e sicurezza".
Pare che la bozza, già pronta, verrebbe presentata a metà aprile. Ma non si escludono ulteriori azioni a livello di governo. "Chiederemo interventi sulle altre materie". Soprattutto su una: l'abbassamento della quantità delle consegne pro capite "migliorerebbe la qualità del lavoro". C'è chi tra i corrieri è riuscito a recapitare anche 174 pacchi in un giorno. "La riduzione del numero di consegne giornaliere è anche una questione di sicurezza stradale".
Fatto lo sciopero, le rappresentanze sindacali sono comunque pronte al ritorno al tavolo delle trattative. "A patto però che si riconosca la dignità e il rispetto per questi lavoratori". Anche perché molti sono in prova con contratti a tempo indeterminato in scadenza. Pacifico che convivano col terrore di perdere il lavoro.
La richiesta dei sindacati è mirata: discutere al tavolo del colosso nordamericano di Seattle "del delivery sia del personale dipendente diretto sia di quello che opera negli appalti dei servizi di logistica".
Preceduto in febbraio da cinque giornate di astensione dal lavoro del personale di Pisa, lo sciopero è stato proclamato per "l'indisponibilità cronica ad un confronto con le rappresentanze dei lavoratori in spregio alle regole previste dal contratto di lavoro". Infatti, sono messi male anche coloro che lavorano negli enormi magazzini. "Fanno a piedi anche venticinque chilometri al giorno, con la musica a tutto volume che spacca loro i timpani, per disincentivare il dialogo con i colleghi".
Esagerazioni, invenzioni? No, solo denuncia di uno stato di cose ritenuto fortemente penalizzante e "disumano" dai lavoratori. Gabriele Brogi della Filt Cisl Toscana non le manda a dire, le dice: "è intollerabile che una multinazionale che realizza utili per miliardi si avvalga di lavoratori a tempo determinato, con un cambio di personale che non consente la stabilizzazione".
La risposta di Amazon? Finora non c'è; sarebbe molto utile riceverla a stretto giro.