Spezzare il duopolio Peñarol-Nacional che comanda da sempre il calcio uruguaiano è un'impresa ardua, quasi impossibile. Qualcuno come il Danubio Fútbol Club ci ha provato a rompere questa egemonia ottenendo alcuni successi e distinguendosi soprattutto per i ragazzi del suo settore giovanile, una delle migliori fabbriche di talento presenti in Uruguay.
La squadra fondata nel 1932 nella zona di Maroñas a Montevideo oggi è caduta in disgrazia retrocedendo in serie B dopo mezzo secolo di onorata presenza in prima divisione.
La sua è una storia del tutto particolare nata dal sogno romantico di un gruppo di bambini con la passione per il calcio: furono i figli degli emigrati bulgari a voler fondare la squadra della loro scuola nell'epoca in cui l'Uruguay era un miscuglio di lingue e culture diverse con tanti italiani a correre dietro un pallone insieme agli altri.
- "Mamma che nome possiamo dare alla squadra?" chiesero i bambini alla signora María Mincheff dato che il nome inizialmente scelto, Tigre, era già occupato.
- "Maritza, il fiume che attraversa la Bulgaria".
- "No, mamma, Maritza è un nome da donna".
- "E allora mettetegli Danubio, l'altro fiume della nostra patria".
Tra i successi ottenuti dal Danubio si contano i 4 campionati arrivati negli ultimi trent'anni che ne fanno insieme al Defensor Sporting la squadra che si contende la medaglia di bronzo all'interno dell'albo d'oro dei titoli nazionali divisi tra i due giganti praticamente irraggiungibili per tutti gli altri. A livello internazionale conta una semifinale della Coppa Libertadores nel magico 1989: dopo un dignitoso 0 a 0 ottenuto all'andata, andò a sbattere contro la corazzata dei colombiani dell'Atlético Nacional che li rimandarono a casa con un sonoro 6 a 0 prima di andarsi a prendere la coppa.
Più lieto fu invece il finale di una delle migliori favole vissute dal club nel 2006 con il trionfo del campionato uruguaiano: l'allenatore Gustavo Matosas fece più di 100 chilometri a piedi fino a Florida per andare a ringraziare San Cono, il santo più famoso dell'Uruguay portato dagli emigrati di Teggiano (Salerno), a cui aveva chiesto l'aiuto divino per una vittoria a cui nessuno credeva.
Ma al di là delle vittorie al Danubio viene unanimemente riconosciuta una delle qualità più importanti di questo meraviglioso sport, ovvero quella di aver lanciato i giovani con cui nutre un legame speciale. Stiamo parlando probabilmente del miglior settore giovanile dell'Uruguay da dove sono usciti fior di campioni dagli attuali José María Giménez e il "Matador" Edinson Cavani fino ai grandi ex, giocatori passati con risultati alterni in Italia negli anni passati: il talento pigro Alvaro Recoba, l'ex centravanti della Juve Marcelo Zalayeta, la bandiera del Lecce Ernesto Chevantón, Fabián Carini, Walter Gargano, Rubén Olivera, Cristhian Stuani e, dulcis in fundo, Rubén Sosa, micidiale goleador di Lazio e Inter negli anni novanta.
Il filo rosso che lega il Danubio ai giovani continua fino ai giorni nostri con la speranza alimentata da Nicolas Siri, un ragazzo di 16 anni e 11 mesi che ha battuto addirittura Pelè nel record del più giovane realizzatore di una tripletta in un campionato professionistico. È successo proprio pochi giorni fa e sul ragazzo ha già messo gli occhi il Barcellona.
A condannare il Danubio alla retrocessione è stato un beffardo pareggio contro il Deportivo Maldonado nell'ultimo incontro disputatosi martedì. Il gol della condanna lo ha subito al 94esimo il portiere Salvador Ichazo, un ex del Torino e del Bari. Per uno strano scherzo del destino a segnare il gol della condanna in serie B è stato César Pereira, lo stesso che nel 2011 fece retrocedere il River Plate in Argentina, un'altra grande tragedia calcistica degli ultimi tempi.
di Matteo Forciniti