Il lavoro é esaltazione e patimento, creazione e stanchezza. Sin dall'inizio dei tempi, cosí come ci insegna la Bibbia. Quando Adamo ed Eva commisero il peccato originale, Dio li condannó cacciandoli dal paradiso e obbligando a Adamo a procacciarsi il pane col “sudore del volto”. Ma quello stesso Dio, che dovette faticare per costruire tutta la creazione, il settimo giorno “si riposó per tutte le opere che aveva fatto”. Il lavoro divino meritava il riposo settimanale, come é giusto che cosí sia per qualsiasi altro operaio. Il lavoro-patimento, quello del sudore della fronte, é nelle radici della parola “lavoro” in italiano o “trabajo” in spagnolo e “travail”, in francese. “Lavoro” deriva dal latino “labor”, che significa appunto “fatica”, mentre “trabajo” o “travail” (e anche “travaglio” in italiano), discendono etimologicamente dalla parola latina “trepalium”, uno strumento costruito con tre pali per assoggettare animali e anche per torturare persone.

Qualsiasi sia l’idea che noi abbiamo del lavoro - creativitá e soddisfazione o patimento e dolore - il fatto é che per la maggior parte dell’umanitá il lavoro é il modo onesto di procurarsi un redditto e poter cosí vivere. Inoltre il lavoro é il nostro principale modo di identificarci in una societá: la prima cosa che ci viene a mente quando conosciamo qualcuno, é chiede “tu che fai?”, “in che lavori?”, perché il lavoro oltre a permetterci guadagnare il pane, ci identifica como individui in una societá operosa. E purtroppo chi non ha lavoro in questa societá, “non é”. Oggi viviamo tempi difficili a causa dell'emergenza sanitaria: qui e in tutto il mondo. E la perdita del lavoro, la disoccupazione, la paura della chiusura della bottega o della fabbrica é il principale motivo di preoccupazione per milioni di persone.

Se é vero che il lavoro puó avere conseguenze sulla propagazione del COVID, la perdita del lavoro potrá avere risultati ancora peggiori per tutti noi: la perdita “del pane” e della propria identitá. Insomma il rischio é cadere dalla padella nella brace. Siamo in tempi di restrizioni e il lavoro - quello che ci sublima o quello che si affatica - manca, e le conseguenze sono dure sia sul versante materiale (si blocca o riduce il nostro consumo), che su quello psicológico (depressione, angoscia e vía di seguito). Quindi comprendo gli uomini di governo che hanno difficoltá a proibire le fonti genuine di lavoro in tempi di pandemia. É facile dire “chiudiamo tutto per evitare il contagio”, ma il risultato (la crisi del lavoro) puó avere riflessi tanto o piú gravi che il contagio. In questo contesto é necessario anche capire che la quarantena sta mutando il mercato del lavoro.

Molte espressioni del lavoro cosí come lo conoscevamo, cominciano a sostenersi - quando e dove sia possibile - con l’aiuto delle tecnologie, che consentono non solo tele-lavorare, ma anche autogestirci da casa in questioni como l'insegnamento, la salute, la vendita o acquisto di prodotti e via di seguito. Da qualche parte ho scritto su uno sticker, che ognuno di noi ha il valore che sa dimostrare nei tempi difficili. Non possiamo arrenderci e meno di fronte al lavoro; dobbiamo scoprire le nostre capacitá per riqualificarci, re-inventarci; promuovere nuove abilitá che possano procurare risultati utili con l'appoggio tecnologico.

Ma non é solo una questione tecnologica; dobbiamo imparare a riscoprirci, essere pronti a riconvertirci rapidamente, riflette su cosa siamo capaci di fare oltre alla nostra specifica professionalitá, saper mostrarci nel mercato del lavoro con affidabilitá, scoprire nelle reti e sui giornali ogni possibilitá d'impiego e se possibile studiare o migliorare una lingua straniera; capire che il percorso é difficile e cadere nelle frustrazioni é la peggiore paralisi. Non esistono in questa crisi soluzioni magiche. La sfida é saper navigare in mezzo alla tempesta, perché anche nei momenti difficili possono apparire le soluzioni piú straordinarie. E tornando alle nostre riflessioni iniziali potremmo anche scoprire che il lavoro é sempre un dono, bello o brutto che sia.

JUAN RASO