Morire a Palermo, trovarsi defunti in città, restare in attesa di una "degna sepoltura" nei suoi cimiteri. Morire a Palermo, finire invece in "deposito". Sognare la rinuncia di morire a Palermo, se non altro temporaneamente, prendere tempo, diventare palermitani eterni, se solo ciò fosse possibile. Sognare così la solitudine dell'infinito propria dei vampiri, la malinconia delle tenebre, e mai, dico mai, essere costretti a subire, sia pure per interposti addetti, l'attesa del compimento assoluto del proprio meritato funerale ai "Rotoli".
Per non dire di quando ad andarsene è un proprio caro. Restare in attesa dell'eternità, ciò che Rimbaud associa al "mare che si accompagna al sole", che questa possa infine avverarsi in Sicilia. Ovvero quando l'ironia diventa un obbligo. Resta tuttavia a noi, i dolenti, lo spettacolo degli spettrali, inospitali, cimiteri cittadini. Sia in senso logistico - spazi, loculi, "fornetti", cappelle, ossari, sepolture cosiddette "gentilizie" - sia immaginando le "sale d'attesa": improvvisati depositi, dove le salme, le bare, i "cofani" accatastati attendono appunto d'essere tumulati.
Pazienza, strazio e dolore dei congiunti meriterebbe una pagina a parte, accompagnata dalla rabbia. O magari, nel nostro caso, basterebbe Rafael Azcona, scrittore e sceneggiatore spagnolo, compagno di strada di Marco Ferreri, autore del romanzo "I morti non si toccano", fin dalla dedica esemplare: "Alle pompe funebri, animatrici di quella piccola epopea che ogni uomo, perfino il più scemo, si guadagna morendo", ci vorrebbe davvero lui per dire bene rabbia e paradosso in questa nostra cronaca.
A Palermo, ai morti, resta il tempo infinito e insieme provvisorio dei suoi cimiteri. Ai "Rotoli", a "Santo Spirito-Sant'Orsola", forse pure ai "Cappuccini". Non le catacombe, fissate nelle pupille del cinema da Francesco Rosi che traspone Sciascia in "Cadaveri eccellenti", dove Rosalia Lombardo idealmente brilla nella sua teca, esempio di imbalsamazione perfetta, struggente, peccato che il volto della "picciridda" perda ormai l'incanto del sonno apparente; Rosalia, trapassata a due anni, nel 1920, Lombardo Rosalia, bambola mortuaria cittadina, vanto funereo dei frati fin sulle cartoline in quadricromia. È però ai "Rotoli" che si consuma il dramma estenuante dell'attesa.
L'ultima volta, portavo un fiore sulla tomba di Mauro, amico fra i più cari, morto di AIDS a 35 anni, nel 1991, Mauro però, ebbe la grazia di possedere una tomba di famiglia, e dunque da allora è lì, la montagna a strapiombo fa ombra cupa al suo nome fissato sul marmo, ai versi trascritti su una mattonella di ceramica da una ragazza che gli voleva bene. I "Rotoli" è il cimitero affacciato sul mare di Palermo, l'altro, quello "terrestre", privato, è "Sant'Orsola", vi riposano i miei cari, a pochi passi dalla tomba di Francesco Vella, edile, comunista, martire della rivolta dell'8 luglio 1960 che mise fine al governo Tambroni.
Ora che ci penso, a "Sant'Orsola" c'era anche cappella che ospitava le spoglie di Giovanni Falcone, poi trasferito nel Pantheon cittadino, la chiesa di San Domenico, dov'è anche la tomba di un generale della Grande guerra, Antonio Cascino, questi donò ai fanti suoi conterranei un immenso ossimoro bellico: "Siciliani, siate la valanga che sale". Forse però per raccontare di Palermo e dei suoi morti, e soprattutto di mancati funerali, occorre fare ritorno a un dato personale, la morte di mia madre che, agnostica, chiese di essere cremata. Sappiate ora che l'unico forno si trova in cima alla collina dei "Rotoli". Ed è qui la prima perla nera del nostro racconto, dove si comprende quanto Palermo voglia distrattamente bene ai suoi morti.
Anche mamma dovrà attendere, è il 2011, in città manca il gasolio da giorni, il forno non è in funzione, occorre tempo, alla fine siamo stati però fortunati, poco tempo ed eccoci finalmente davanti alla porta carraia del cimitero, dove un addetto, forse unicamente a se stesso, rassicura infine che, sì, possiamo salire, il gasolio è arrivato e infatti, parole testuali: "Sì, ddra supra stannu arrustiennu", sì, là in cima, intende al forno, stanno già "arrostendo". La cremazione, a Palermo, agli occhi dei suoi custodi, assomiglia all'idea del "crasto" da cucinare alla brace, forse il giorno di Pasquetta nei prati della Favorita, barbecue funebre, comunque solenne, molto cittadino, palermitano. Gemma, mia madre, rimarrà assai poco lì in attesa nel buco nero dell'orrendo deposito, tanfo di fiori marci, sporcizia, finché una mattina, sotto un cielo di un azzurro inviolabile, finalmente sarà cremata. Gentilissimi, gli addetti al forno si scuseranno per la prosaicità dei colleghi custodi: "Cerchi di capirli, dottore, non tutti siamo uguali".
Anche Franco Franchi, l'attore beniamino della città insieme a Ciccio Ingrassia, è ai "Rotoli", nella tomba di famiglia, a terra, ordinaria "sepoltura gentilizia". "Benenato Francesco", così, sul marmo, il suo nome d'anagrafe.
Raccontava Franco il giorno del funerale di sua madre, raccontava di avere visto una donna che, scorgendolo tra le lapidi, intanto che seguiva il corteo funebre del proprio marito, prese a scandire pianto e risata insieme, pronunciandone ad alta voce, come in una melopea rituale, il nome rivolta agli altri dolenti di famiglia: "Franco Franchi! Franco Franchi...", lacrime da inconsolabile vedova spezzate da una risata fragorosa; Franco interpretava l'incontro come segno divino della sua professione di comico.
Chissà cosa mi direbbe adesso, davanti ai gazebi di plastica, depositi provvisori per mille e passa bare, metafora ulteriore dell'affollato condominio edilizio cittadino, come già negli anni '60, i giorni del "sacco edilizio", prosecuzione dello scempio.
Sognare di restare eterni, morire mai, a Palermo. Credere che un simile orrore sia il frutto malato di una semplice disorganizzazione dei servizi funebri, inerzia del sindaco, la mafia di sempre, sarebbe, ahimè, altrettanto tragicamente riduttivo.