"Lo spagnolo non passerà,/ con le donne dovrà combattere./ Juana Azurduy,/ fiore dell'Alto Perù,/ non c'è nessun altro capitano/ più coraggioso di te".
Con queste parole Mercedes Sosa cantava il senso di una vita di Juana Azurduy, la rivoluzionaria "meticcia" di padre spagnolo e cattolico, che per l'ordine costituito del tempo avrebbe dovuto farsi monaca e che invece combatté per l'indipendenza della Bolivia e a sostegno degli indigeni dell'alto Perù, fino a diventare tenente colonnello. Ottenne così tanta e tale fama e ammirazione da spingere Simon Bolivar ad affermare che la Bolivia "non dovrebbe chiamarsi Bolivia in mio onore, ma Padilla o Azurduy, perché sono stati loro a renderla libera".
La sua storia patriottica, mista a quella del lungo e complesso cammino dei singoli paesi dell'America Latina e le definitive parole del Generale e Libertador, danno il senso più profondo del contraddittorio ruolo delle donne nella vita di quel Continente: da una parte protagoniste di libertà collettive e dei singoli paesi, dall'altra vittime dell'oppressione dello Stato.
Tutto in un senso di sofferenza machista che ancora oggi, a più di due secoli di distanza dalle battaglie di Azurduy, spinge le donne di quei paesi a scendere in piazza a cantare bendate "Lo stato oppressore è un macho stupratore": l'inno di denuncia e rivolta partito dalle piazze del Cile e diffusosi celermente prima in America Latina e poi nel mondo, col quale si chiede un cambio radicale di politiche e del sistema neoliberista tutto, nella direzione della redistribuzione, dell'equità, del progresso. Progresso che non può che passare innanzitutto dal riconoscimento del ruolo e dei diritti delle donne in un contesto di piena parità di genere e dignità.
Prova ne è stata, di recente, l'approvazione della legge sull'aborto in Argentina. Altea Vaccaro, una giovane studentessa che ha analizzato quella battaglia attraverso il ruolo della musica nel mini saggio "La sinfonia della protesta", dimostra come "le donne hanno ottenuto la leadership trasversale, che ha neutralizzato differenze sociali, ideologie e talvolta anche religioni. Con l'orizzonte della trasformazione".
E mette in relazione l'importante ruolo della canzone nelle manifestazioni di piazza insieme a quello delle donne e dei giovani tutti: "Questi artisti riflettono il movimento per la legalizzazione dell'aborto, che è un movimento giovanile. Nelle proteste straordinaria è la partecipazione di donne tra i 14 ei 24 anni che hanno dimostrato la realizzazione dell'interesse pubblico per il diritto all'aborto, sicuramente accresciuto dall'usare la musica in funzione della politicizzazione delle giovani generazioni. In secondo luogo, un'altra caratteristica è la natura del movimento di vivere nelle strade. I testi delle canzoni fanno risuonare le voci di queste donne nella sfera pubblica".
Ecco, quindi, come le trasformazioni o conservazioni che si palesano in questi mesi e nelle ultime settimane nei singoli paesi del Subcontinente, sono frutto di battaglie politico-culturali complesse, storiche e sul piano dei diritti individuali e collettivi.
Per stare agli ultimi avvenimenti elettorali in Perù, il primo turno di domenica ci consegna un quadro estremamente frammentato, nel quale più di dieci formazioni politiche entrano in parlamento con percentuali di voto che vanno dal 5 al 19% e nessun partito o coalizione omogenea è capace di rappresentare una maggioranza parlamentare. A questo si aggiunge il fatto che, il presidente eletto direttamente del popolo, sarà uno dei due candidati arrivati debolissimi al ballottaggio con le percentuali del 19 e del 13 per cento: rispettivamente Castillo e Fujimori.
Fujimori è la candidata chiaramente di Destra, una Destra liberista e corrotta, figlia di quell'Alberto Fujimori già condannato per vari crimini a un ergastolo al quale la figlia spera di sottrarlo con manovre politiche una volta diventata presidente.
Castillo è il candidato dell'estrema Sinistra indigena, caratterizzata da venature populiste e reazionarie che si configurano con la sua contrarietà a importanti diritti civili quali il riconoscimento del matrimonio omosessuale o l'aborto. Macigni non da poco sulla strada del progressismo di Sinistra che si contrappone all'eredità di una Destra criminale e corrotta rappresentata da Fujimori. E che porteranno prima il popolo non a decidere quale modello scegliere tra progressismo radicale e liberismo spinto, ma se arginare e opporsi all'uno o all'atro; successivamente, il Parlamento balcanizzato a esercitare il mercimonio delle alleanze e dei sostegni ai processi legislativi; con l'effetto che chiunque vincerà non riuscirà a realizzare il proprio programma elettorale, decretando ancora una volta l'insostenibilità – in America Latina – di un modello istituzionale nel quale il presidente è eletto direttamente dal popolo e il parlamento espressione proporzionale dei partiti.
In questo contesto, se a Destra è più probabile che le forze in campo divise al primo riverseranno al ballottaggio i propri voti su Fujimori in nome del liberismo, dell'antico rapporto privilegiato con gli Stati Uniti e da tempi da "guerra fredda" e dottrina Monroe, in anacronistica coerenza con il tradizionale blocco liberista insieme a Cile, Messico, Colombia e Costarica, è più difficile immaginare che le forze di Sinistra troveranno unità nel sostenere con convinzione Castillo.
Non per le sue idee post-marxiste sul ruolo dello Stato nell'economia, delle nazionalizzazioni e della politica estera che lo collocherebbe nel blocco bolivariano con Cuba, Venezuela, Bolivia e Argentina, quanto proprio per le sue posizioni innaturali e anacronistiche a Sinistra (e nelle masse di giovani, tra gli artisti che gli danno voce e nella società in movimento in America Latina) sui diritti civili, quelli degli omosessuali, sull'aborto legale, la parità di genere e sul ruolo della donna in generale, che non può essere ancora, per legge, quello che già più di due secoli fa aveva scardinato Juana Azurduy.
Ecco dunque, che in America Latina e a Sinistra, oggi si dovrebbe sentire ancora più forte l'eco delle parole di Mercedes Sosa: "Terra in armi che diventa donna/ amazzone della libertà/ voglio far parte tua squadra/ e al suono del tuo attacco vocale/ tuoni il cannone, prestami il tuo fucile/ che la rivoluzione odora di gelsomino".
di Eugenio Marino