Di Alessandro Di Angelis
Non ci voleva un questionario da mandare ai circoli, in fondo era prevedibile, per sapere che le priorità, per la “base del Pd”, fossero il lavoro, l’Europa, i territori. E che ci sono perplessità sulla proposta di voto ai sedicenni e sullo ius soli, in questo contesto dove la prima emergenza è sociale e all’interno di una maggioranza che, di fatto, lo rende irrealizzabile. Una bandiera che è sacrosanto sventolare ma che è difficile piantare a terra. Però il questionario e il famoso “dibattito” nei circoli, piuttosto partecipato, sono serviti a Enrico Letta per dire, alla prima assemblea nazionale del Pd dopo la sua elezione in cui ne ha illustrato l’esito, che il partito “esiste, è vivo, vitale” e che, in tempi di populismo, leaderismo, crisi della democrazia, eccetera eccetera, la partecipazione funziona. E che non ci deve rassegnare alla politica intesa come comunicazione dall’alto, effetti speciali, costruzione mediatiche da affidare a fantasiosi spin doctor alla vigilia delle elezioni. Comprensibile che il neo-segretario, come primo atto, abbia deciso di partire da ciò che c’è, nel tentativo di rivitalizzarlo, rimotivarlo con la proposta delle Agorà democratiche, il che dà il senso di un po’ di ripristino della normalità in piena emergenza. Soprattutto in vista delle amministrative. E con essa di un metodo: riunioni, dibattito, programma di lavoro, compiti, funzionamento della macchina. La sinistra, storicamente, non ha mai vinto con i fuori d’artificio, ma con la famosa militanza, nel tempo rinsecchitasi fin quasi a scomparire, nell’ambito di un più generale processo di secessione del suo popolo, e soprattutto del popolo del disagio, delle periferie, della grande rivolta contro l’establishment e verso un partito concepito come tale. Meno comprensibile che l’anelito verso “l’apertura” e il “civismo” non sia accompagnato dall’indicazione dei soggetti con cui si dovrebbe dialogare. Perché il “popolo” non esiste in quanto tale. È una “costruzione politica”, fatta di ceti, bisogni, interessi, da comporre in una visione di società e in un progetto di cambiamento. E proprio l’urgenza della questione sociale – l’Istat ha fotografato un milione di nuovi poveri – destinata ad aggravarsi con la fine del blocco dei licenziamenti rende, forse, necessario uno sforzo in più. E lo rende non rinviabile il conflitto di cui si intravedono i prodromi sul tema delle riaperture all’interno di una crescente divaricazione tra garantiti e non garantiti. Proprio sulle aperture, attorno a cui si sta sviluppando una lotta per l’egemonia nel governo, la scena è tutta occupata dal conflitto Salvini- Speranza, col primo bravissimo dal punto di vita comunicativo a rivendersi come grande successo una road map che è il minimo sindacale e su cui, in queste ore, sta ricevendo messaggi di fuoco dalla sua di base. Nella relazione del neosegretario la formula “riapriamo in sicurezza” è un passaggio, anche piuttosto sbrigativo che cozza anche con l’impegno, che pure c’è stato, a destinare il grosso dello scostamento alle persone e alle imprese. Diritti sociali e diritti civili, lo si è sentito milioni di volte, non sono inscindibili. C’è una tendenza di Letta a far leva sui secondi, dallo ius soli alla richiesta di cittadinanza per Zaki come recupero identitario in relazione alla prudenza con cui vengono posti i primi, in modo cioè assolutamente non conflittuale col governo. Terreni di battaglia, anche simbolica, sono cioè fuori dall’agenda del governo, buoni per polemizzare con Salvini ma senza disturbare il manovratore. Insomma, il “nuovo Pd” di Letta è ancora un work in progress, anche se le novità non sono irrilevanti. Si è liberato dalla “vedovanza” di Conte, non vede fantasmi, non evoca complotti, e non vive nell’ossessione della fase precedente segnata da uno spirito di subalternità: i figli di un Dio minore che, per andare al governo, devono affidarsi a un Papa straniero. Anche nella relazione di oggi sono evidenti i due elementi di discontinuità: il sostegno al governo Draghi, senza ambiguità e retropensieri; e un orizzonte di alleanze per cui va costruito “un nuovo centrosinistra che dialoga con i Cinque stelle”. Tutte le difficoltà di questo rapporto sono proprio nel passaggio volutamente generico del discorso a proposito di amministrative. Dietro la formula “decideranno i territori”, si intravede tutta la fatica nel trovare un’intesa anche perché prima ancora delle tensioni nell’alleanza ci sono quelle del Pd, che, per sciogliere un po’ di nodi, dovrà fare ricorso alle primarie. Ed era prevedibile anche questo.